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Tutti i numeri del gorgo politico-istituzionale su ballottaggi e dintorni

I ballottaggi di domenica prossima saranno l’ultimo atto di un ciclo elettorale che per convenzione possiamo far risalire al febbraio 2013. Come ha osservato Claudio Petruccioli (La Rivista Intelligente, 14 giugno), è allora che (credo per la prima volta nella nostra storia repubblicana) la partecipazione al voto per il rinnovo delle Camere scende sotto sotto l’80 per cento. Le due forze maggiori, Pd e Pdl, che cinque anni prima si erano divise quasi il 71 per cento dei suffragi, nel 2013 ne raccolgono insieme meno del 50 per cento. Il Pd perde tre milioni e 400 mila voti, il Pdl sei milioni e 300.000. Undici milioni e mezzo di italiani – uno su tre – danno il loro voto a due liste “debuttanti”: M5S (8 milioni e 700.000 voti) e Lista Monti (2 milioni e 800.000).

Elezioni europee (maggio 2014): votano solo venti milioni di elettori contro i trentacinque dell’anno precedente. Forza Italia, erede del Pdl, subisce una ulteriore flessione dei consensi e il M5S una battuta d’arresto, mentre la Lista Monti scompare. Nonostante la forte riduzione dei votanti, il Pd ha due milioni e mezzo di voti in più rispetto al 2013 (e supera il mitico quaranta per cento). Difficile, in questo caso, non parlare di “effetto Renzi”, da sei mesi segretario del Pd e da meno di cento giorni insediato a Palazzo Chigi: una forte domanda di innovazione e un’ampia disponibilità a sostenerla, tanto da lasciare molti stupefatti.

Elezioni regionali (maggio 2015): il numero dei votanti scende ancora. Nelle cinque regioni del Centro-Nord (Liguria, Veneto, Toscana, Marche, Umbria) Pd e liste alleate, raccolgono un milione e 753 mila voti a fronte dei due milioni e 880 mila raccolti dal solo PD nel 2014. Le elezioni amministrative di due settimane fa, insomma, non hanno fatto altro che ribadire tendenze elettorali emerse chiaramente nelle urne regionali. Strano che commentatori e notisti politici non lo abbiano sottolineato. “Niente di nuovo sotto il sole”, come si dice nell’Ecclesiaste. Secondo Petruccioli, e io concordo con lui, ci troviamo in un “gorgo” politico-istituzionale che dura da almeno un triennio e che, qualunque sarà il risultato dei ballottaggi nelle grandi città, è destinato ad agitare le acque della politica italiana fino al referendum costituzionale.

Se ad ottobre vincerà il no, ogni persona di buon senso è in grado di valutare quale sarebbe il tasso di governabilità sul quale potrebbe contare il nostro Paese (il ritorno, insieme al bicameralismo paritario, allo scrutinio proporzionale sarebbe pressoché inevitabile). Se vincerà il sì, tra le altre cose forse potremo conoscere quale è il partito (o il “movimento”) a cui gli italiani affidano la responsabilità dell’opposizione, e il compito di garantire l’alternanza. Forse non è molto, ma in un’Europa sull’orlo di una crisi drammatica è un poco non disprezzabile.

Ps. Tra le tante indignate smentite dei “retroscena” raccontati da la Repubblica, io però ancora non ho capito per chi voterà Massimo D’Alema a Roma.



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