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Tutti i veri grilli per la testa di Massimo D’Alema

Grazie alla complicità di fatti certamente più clamorosi, a cominciare naturalmente dal sangue caduto sulla campagna referendaria in Gran Bretagna, dove la deputata laburista Jo Cox è stata uccisa da un fanatico dell’uscita dall’Unione Europea, che meglio non poteva servire forse la causa opposta della permanenza, non solo il caso ma il nome stesso di Massimo D’Alema è curiosamente uscito nel giro di 48 ore dalle prime pagine dei giornali italiani. Eppure si tratta di un caso e di un nome di un certo rilievo per i ballottaggi comunali di domenica, particolarmente per quello di Roma, dove si fronteggiano il renziano Roberto Giachetti e la grillina Virginia Raggi.

Solo sulle prime pagine dell’Unità e del Fatto Quotidiano il campione ormai, per quanto ammaccato, dell’antirenzismo è riuscito a mantenere una posizione procurandosi, rispettivamente, critiche e benevola attenzione. Critiche perché, a prescindere dall’intenzione attribuitagli di aiutare i grillini in funzione appunto antirenziana, egli sogna un impossibile ritorno della sinistra ai vecchi tempi, rottamati anch’essi dal giovane ex sindaco di Firenze, ora alla guida sia del partito sia del governo. Benevola attenzione, quella del Fatto e del direttore Marco Travaglio, perché il sarcasmo e gli argomenti dell’ex presidente del Consiglio aiuterebbero a capire come e perché l’odiato Renzi stia “sulle scatole a tanta gente”.

A competere con Renzi, quanto ad antipatia e avversione, è sul Fatto Quotidiano soltanto l’ex presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, “l’emerito impiccione” pizzicato al telefono con la radicale Emma Bonino perché, accettando di collaborare con la sua eventuale giunta a Milano, desse una mano al renziano Giuseppe Sala, proprio nelle battute finali della campagna elettorale, a fronteggiare la forte concorrenza di Stefano Parisi, il candidato di un centrodestra una volta tanto unito alla carica di sindaco all’ombra della Madonnina.

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Ancor più galeotto, sul versante opposto, è stato il telefono di D’Alema. Che per tre volte, non una, ha chiamato lo storico dell’arte e professore Tomaso Montanari, secondo il racconto fattone dallo stesso Montanari a Repubblica, per incoraggiarlo inutilmente ma significativamente ad accettare l’offerta di assessore della cultura ricevuta dalla candidata pentastellata al Campidoglio.

Pur mosso dalla “curiosità”, come ha detto Montanari, di capire le ragioni dell’interesse dei grillini per un esponente notoriamente appartenente al mondo della sinistra, e deciso, sempre secondo Montanari a difendere gli interessi di Roma più che quelli del movimento 5 Stelle, D’Alema si è quindi mosso davvero per aiutare almeno una concorrente, avversaria, chiamatela come volete, del suo partito.

Per quanto abbia avuto alla fine il merito di rifiutare l’offerta, forse consapevole della sua strumentalità, visto anche che egli neppure vota a Roma, come d’altronde la Bonino non può votare a Milano per l’aspirante sindaco del Pd, Montanari ha tenuto a condividere l’antirenzismo del suo amico ed estimatore D’Alema. “Lo sanno tutti che una parte importante dei dirigenti dei dirigenti del Pd non voterà il partito in queste elezioni”, ha detto lo storico dell’arte spiegando che “Renzi non fa più parte della foto di famiglia del riformismo europeo”. Torniamo così all’immagine dell’”album di famiglia” di una certa sinistra, evocato drammaticamente e per ben altri motivi – bisogna dire- da Rossana Rossanda negli anni di piombo, quando molti comunisti fingevano di  non sapere chi fossero e da dove provenissero i brigatisi rossi che avevano appena sequestrato Aldo Moro sterminandone la scorta, e uccidendo anche l’ostaggio dopo 55 giorni di penosa prigionia.

Tornando a Montanari, “per una sinistra radicale al 5 per cento e pezzi del Pd diventa naturale guardare al Movimento 5 Stelle”. Non tanto per confluirvi o per premiarne i candidati quanto per sconfiggere Renzi. E, nel caso dell’amico o compagno D’Alema, “non per andarsene dal Pd ma per riprenderselo”, essendo il presidente del Consiglio “un abusivo della storia della sinistra”.

L’intervista di Montanari, dopo le sdegnate e ripetute smentite di D’Alema contro il giornale fondato da Eugenio Scalfari e presunti “mandanti”, è stata naturalmente una specie di rivincita per Repubblica. Che ha per alcune ore sbagliato, almeno nel suo sito elettronico, solo a presentare Montanari come ex collega di studi di D’Alema alla Normale di Pisa, in effetti frequentata dallo stesso D’Alema, senza tuttavia laurearsi perché troppo preso dalla politica già in età giovanile. I due non possono essere stati compagni anche di studio per ragioni semplicemente anagrafiche, essendo D’Alema nato nel 1949 e Montanari nel 1971.

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Le rivelazioni di Montanari non debbono avere sorpreso più di tanto Roberto Giachetti, già affrettatosi all’apertura del “caso” a dire di essere bene al corrente della ostilità di D’Alema alla sua candidatura a sindaco, espressa nel salotto televisivo di Lilli Gruber, a la 7, quando le liste non erano state ancora presentate, e lo stesso D’Alema ammetteva di sperare in una controcandidatura del suo amico ed ex ministro dei Beni culturali Massimo Bray.

Cultura, politica estera e vini sembrano quindi essere le vecchie e nuove passioni dell’ex presidente del Consiglio. E un po’ anche la dietrologia, tante volte dai lui rimproverata ai giornalisti. Ricordo quell’affondo contro Renzi, definito una volta da D’Alema “uomo del Mossad”, cioè dei potenti servizi segreti israeliani, in una cena con amici svelata dal Corriere della Sera e mai smentita.

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