Al via oggi, 8 giugno, l’aumento di capitale da 1 miliardo di Veneto Banca che, come nel caso della recente operazione della Popolare di Vicenza, è connesso con la quotazione in Borsa (Ipo). Parte l’8 giugno, infatti, anche il collocamento istituzionale delle azioni che si concluderà il 24 dello stesso mese, mentre due giorni prima, il 22, terminerà il periodo di opzione dei titoli legati all’aumento. Come detto, l’operazione, con il doppio obiettivo della ricapitalizzazione e dello sbarco a Piazza Affari, è del tutto analoga a quella della Popolare di Vicenza, che non si è conclusa con successo, tant’è che il fondo di sistema Atlante è stato costretto a scendere in campo comprandosi praticamente tutto l’istituto vicentino.
NODO ATLANTE
Nel caso di Veneto Banca, in ambienti finanziari ma anche politici, si spera naturalmente che questa volta l’esito sia diverso. Ma sono parecchie le similarità. A cominciare dall’atteggiamento di Intesa Sanpaolo, che guida i consulenti della complessa operazione nel ruolo di global coordinator, joint bookrunner e sponsor dell’offerta di titoli, ed è anche a capo del consorzio di garanzia della ricapitalizzazione. Il 7 giugno, infatti, il numero uno di Intesa Carlo Messina (nella foto), che negli ultimi tempi non era parso preoccupatissimo su Veneto Banca, ha detto: “La verità è che i soci non raggiungeranno il 51%. E quindi Atlante interverrà in questa operazione e acquisirà il controllo di Veneto Banca”. Sì, perché, malgrado a garantire il buon esito dell’aumento di capitale sia il consorzio guidato appunto da Imi, nei giorni scorsi è stato sottoscritto un contratto di subgaranzia del fondo Atlante gestito dalla Quaestio sgr guidata da Alessandro Penati, che però ha posto come condizione per scendere in campo di arrivare almeno al 51% della banca di Montebelluna così da collocarsi in posizione di comando. Una mossa, quella di sottoscrivere una subgaranzia, da interpretare come una mancanza di fiducia nei confronti del buon esito dell’operazione. Mancanza di fiducia per certi versi confermata dalle parole di Messina. Anche in questo caso, tra l’altro, si registra una similarità col caso Popolare di Vicenza: pure lì Unicredit, che da sola aveva sottoscritto un contratto di pregaranzia, aveva deciso a un certo punto di tirarsi indietro per lasciare che scendesse in campo Atlante. Proprio questo passo indietro sulla Popolare di Vicenza sarebbe tra i motivi per cui i soci di Unicredit hanno appena deciso di sostituire l’ad Federico Ghizzoni, ma questa è un’altra storia.
DUBBI SUL PIANO INDUSTRIALE
Tornando a Veneto Banca, i dubbi sul successo dell’operazione devono essere venuti al consorzio di garanzia anche dopo avere esaminato il piano industriale dell’istituto di Montebelluna, approvato appena a maggio. “La società – si legge infatti nel prospetto sulla ricapitalizzazione – ha preso visione di otto ricerche predisposte dagli analisti del consorzio di garanzia”. Ebbene, “al 2018 sette ricerche sulle otto predisposte hanno evidenziato utili stimati inferiori alle stime del piano industriale. Al 2020 sei ricerche su sette (una delle banche del consorzio non ha espresso il proprio giudizio su tale periodo) hanno evidenziato utili stimati inferiori alle stime del piano industriale. Tali scostamenti sono in media rispettivamente pari a -34% e -23%”. Insomma, secondo gli esperti del consorzio, le stime del piano sono eccessive e vanno tagliate: di certo non un buon segnale per l’istituto presieduto da Stefano Ambrosini e guidato dal direttore generale Cristiano Carrus.
RICAPITALIZZAZIONE FONDAMENTALE
D’altra parte, però, che l’aumento di capitale vada a buon fine è fondamentale per la salvezza dell’istituto. Un punto che emerge nero su bianco dal prospetto: “Qualora l’offerta globale (di azioni relative alla ricapitalizzazione) non fosse portata a compimento, l’emittente (Veneto Banca) non sarebbe in grado di colmare il deficit di capitale in misura sufficiente a ripristinare i coefficienti patrimoniali ai livelli richiesti dalla Bce e potrebbe trovarsi in una situazione di crisi o di dissesto, con conseguente assoggettamento del gruppo a provvedimenti da parte delle competenti autorità di vigilanza, incluso l’esercizio dei poteri previsti dal Testo Unico Bancario (Tub), funzionali all’applicazione degli strumenti di risoluzione per le banche previsti dalla Direttiva Europea 59/2014 (Brrd) che istituisce un quadro di risanamento e risoluzione degli enti creditizi e delle imprese di investimento”. Il riferimento è alla normativa sul cosiddetto bail-in, entrata ufficialmente in vigore da gennaio e in parte già messa in pratica lo scorso autunno col salvataggio di Banca Marche, Popolare Etruria, Carichieti e Cariferrara.
BUON SEGNO
La ricapitalizzazione di Veneto Banca si sovrappone, come calendario, a quella dallo stesso ammontare di 1 miliardo del Banco Popolare, partita lunedì 6 giugno. Le due banche si trovano in situazioni differenti: quella di Montebelluna, come appena visto, deve per forza ricapitalizzare, pena la sua stessa salvezza, mentre il gruppo di Verona, comunque in difficoltà per i crediti deteriorati, ha avviato un’operazione che gli consentirà di fondersi con la Popolare di Milano (insomma, c’è dietro un progetto ben preciso e articolato). Tuttavia, nei primi due giorni di aumento, è stato registrato un certo interesse per il Banco Popolare da parte degli investitori. Un tiepido ottimismo che, fatte le dovute differenze, lascia aperto uno spiraglio di speranza anche per Veneto Banca. Tuttavia viene da dare ragione a Messina: l’ipotesi di un ingresso nel capitale, in forze, da parte di Atlante sembra molto concreto.