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Chi fa il tifo in Italia per la finanza islamica

Per alcuni è un’opportunità da sfruttare. Per altri un oggetto da maneggiare con cura, soprattutto in tempi di spettro Isis. Ma comunque la si voglia mettere la finanza islamica è un’entità con cui tutti i Paesi prima o poi dovranno fare i conti. Ne sa qualcosa la Gran Bretagna fresca di Brexit, dove banche e finanziarie sharia compliant sono presenti da anni. D’altronde nel mondo la finanza islamica vale qualcosa come 2.000 miliardi di dollari tra investimenti ed emissione di titoli (sukuk). L’Italia finora si è mostrata un po’ refrattaria, nonostante gli appelli all’apertura arrivati dalla Banca d’Italia e dalla Consob. Ma anche nella restia Italia negli ultimi mesi qualcosa si è mosso, aumentando le probabilità che anche qui si arrivi entro breve ad una legislazione strutturata in materia di finanza islamica, aprendo così la strada ai grandi capitali del Golfo.

QUALCOSA (FINALMENTE) SI MUOVE

Un accurato aggiornamento della situazione è stato fatto ieri presso lo studio legale Nctm, che da tre anni si occupa di svariate operazioni aventi a che fare con la finanza islamica. Al convegno hanno preso parte i rappresentanti di Banca d’Italia, Tesoro e Ministero degli Esteri, oltre a una nutrita pattuglia di esperti. La strada verso un Paese islamic-friendly poggia necessariamente su tre presupposti: una legislazione adatta e malleabile, la creazione di una banca islamica e l’emissione di bond sharia compliant. Il punto di partenza – dicono in Nctm- è per l’appunto il primo e cioè che in Parlamento comincia a fare finalmente breccia l’esigenza di una regolamentazione ad hoc della finanza islamica. Prova ne è il fatto che da mesi è operativo presso la commissione Finanze della Camera un gruppo di lavoro coordinato da Stefano Loconte con l’obiettivo di redigere una prima bozza di legge.

TUTTE LE CREPE TRA FISCO ITALIANO E FINANZA ISLAMICA

Rimanendo nel campo della creazione di una legge su misura per la finanza islamica, le principali lacune sono state analizzate dallo stesso Loconte insieme all’esperto Piermauro Carbellese. La prima questione riguarda il difficile rapporto tra gli strumenti sharia compliant e il fisco italiano. I primi prevedono per esempio la partecipazione agli utili dell’azienda nonché “l’indeducibilità dal reddito d’impresa e delle remunerazioni dovute alla partecipazione agli utili”. Principio che cozza con le stringenti norme fiscali italiane. Un altro aspetto critico riguarda per esempio la compravendita di beni, che nei dettami dell’Islam non prevede l’applicazione dell’Iva. Quali le soluzioni? Tra le proposte allo studio del gruppo coordinato da Loconte, quella di prevedere per esempio nell’ordinamento specifiche forme di partecipazione agli utili in grado di adattarsi ai principi della finanza islamica mentre per quanto riguarda il secondo caso, quello dell’Iva, immaginare appositi meccanismi in grado di garantire l’applicazione dell’Iva anche per la compravendite effettuate da soggetti sharia compliant.

TRA SUKUK E BANCA ISLAMICA

Gli altri due tasselli rispondono al nome di banca islamica e sukuk e sono stati affrontati da Stefano Padovani, responsabile della branch bancaria per Nctm. Sulla prima, si pensa alla costituzione di una banca islamica, sorta di regolatore nazionale per tutte le istituzioni finanziarie gravitanti in questo mondo e la possibilità per lo Stato italiano di emettere sukuk, l’equivalente islamico del bond. Sul secondo punto, i sukuk, l’idea sarebbe quella di creare una società con capitale di 1 milione per la vendita di immobili pubblici i cui proventi andrebbero a finanziare la cartolarizzazione per l’emissione dei bond sharia compliant, i sukuk. Si potrebbe eventualmente ricorrere alla già operativa Invimit, la sgr del Tesoro cui spettano le dismissioni immobiliari. Il tutto per giungere ad un’emissione di sukuk tra i 400 e i 500 milioni di di euro con cui invogliare i grossi capitali del Golfo a prendere la via dell’Italia, sottoscrivendone i titoli pubblici sharia compliant.

BREXIT, UN’OPPORTUNITA’ PER LA FINANZA ISLAMICA

E persino la Brexit può essere un’opportunità per la finanza islamica. Come ha sottolineato lo stesso Padovani   “i tempi sono maturi per occuparsi di finanza islamica in maniera concreta e sistemica in Italia. Le condizioni favorevoli sono molteplici: in una fase storica in cui al mondo bancario e finanziario vengono rivolte accuse di essere distante dalle attività reali e dal mondo delle imprese e dei consumatori, la finanza islamica si ispira ad un principio di reale condivisone del rischio tra finanziatore e finanziato”. E “in questo senso la Brexit può essere un’opportunità, così come il Paese si sta muovendo in questi giorni, anche attraverso il progetto di ospitare autorità regolamentari comunitarie fino ad ora aventi sede nel Regno Unito, per recuperare un ruolo importante quale centro finanziario internazionale, un’apertura alla finanza islamica può essere un modo per attrarre l’interesse di un mondo di investitori che in Europa ha sempre guardato fin qui, soprattutto, a Londra. Infine, gli strumenti finanziari possibili”.

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