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Cosa fa l’Italia contro il terrorismo jihadista dopo Nizza

L’attentato di Nizza rappresenta, forse, il definitivo “salto di qualità” del terrorismo di matrice islamica perché, ancora di più rispetto all’attacco al Bataclan di Parigi nel novembre scorso, è tragicamente sotto gli occhi di tutti che cosa significhi e quanto sia facile attaccare i cosiddetti “soft target”, gli obiettivi non considerati sensibili come quelli istituzionali. Cioè, le persone comuni. Segnali di nuovi attentati erano arrivati, le autorità francesi ne avevano parlato nei giorni scorsi ed è facile, oggi, sottolineare che il rafforzamento delle misure di sicurezza deciso dal ministro dell’Interno, Angelino Alfano, poche ore prima dell’attentato di Nizza era la prova che anche le autorità italiane temevano che qualcosa potesse accadere.

La gravità della situazione è confermata dalla partecipazione del presidente del Consiglio, Matteo Renzi, alla riunione di emergenza tenutasi nelle prime ore della mattinata del 15 luglio tra i vertici dei servizi segreti con il sottosegretario delegato all’intelligence, Marco Minniti, “per rafforzare le misure che per la verità nel nostro Paese sono già intense” ha detto Nicola Latorre (Pd), presidente della commissione Difesa del Senato. Latorre non è l’unico che in queste ore, oltre a ripetere l’importanza dell’attività di prevenzione soprattutto a livello di intelligence, sollecita un ruolo più incisivo delle comunità musulmane “che devono essere più presenti e più protagoniste anche sul piano della battaglia culturale e della lotta contro il terrorismo”.

Nella riunione del Casa, il Comitato di analisi strategica antiterrorismo, è stato fatto il punto e per l’Italia il livello di allerta resta quello immediatamente precedente all’attacco in corso, come ha ricordato dopo la riunione il ministro dell’Interno, Angelino Alfano. La cosiddetta “Car jihad”, gli attentati con veicoli, non era sconosciuta essendoci precedenti in Israele, Canada e Inghilterra ed essendo stata sollecitata già nel 2014 dal portavoce dell’Isis, ma un episodio come quello di Nizza lascia sgomenti. Il capo della Polizia, prefetto Franco Gabrielli, ha diramato una nota ai prefetti e ai questori per sollecitare ulteriori controlli e valutare situazioni meritevoli di ancora maggiore attenzione. Alfano ha spiegato che il Casa si riunirà con ancora maggiore regolarità e ha sottolineato l’impiego delle unità speciali di Polizia e Carabinieri delle quali si è già parlato in passato. Si tratta delle Uopi (Unità operative di pronto intervento) per la Polizia e di particolari aliquote e di squadre operative di supporto dei Carabinieri, nuclei specializzati addestrati dalle forze speciali. Il comandante dell’Arma, generale Tullio Del Sette, ha parlato di cellule tra i 12 e i 24 uomini dislocate in varie città e in grado di intervenire “in pochissimi minuti” con mezzi blindati o semiblindati. Gabrielli ha aggiunto che si tratta di “unità intermedie” tra le normali pattuglie e le forze speciali e che le Uopi sono presenti in 20 città.

In nottata sono state attuate le misure di sicurezza ai confini con la Francia. In Italia, ha detto Alfano, c’è da tempo “un protocollo operativo” che scatta in caso di emergenza e la cui validità è stata testata nell’esercitazione “Termini 2016” fatta a Roma nella notte tra il 13 e il 14 luglio. In 17 aeroporti, in particolare, c’è un piano di intervento per le forze armate che complessivamente collaborano con le forze dell’ordine con 7.050 unità. Sul fronte islamico interno, nel corso del Casa il direttore del Dap, Santi Consolo, ha spiegato che questa volta nelle carceri non ci sono stati episodi di esultanza o di sostegno all’attacco terroristico e comunque, più in generale, Alfano ha ricordato la recente riunione al Viminale con i rappresentanti delle autorità musulmane ribadendo che “non possiamo più avere imam fai-da-te”.

Tutti ora si chiedono se e come reagire. In un convegno del 19 novembre 2014 Minniti riferendosi all’Isis disse che “siamo di fronte a una sfida non diplomatizzabile: queste sfide si vincono o si perdono” e aggiunse che occorre “una risposta simmetrica di livello militare e una asimmetrica con la prevenzione” ricordando la proposta italiana di costituire un Casa europeo, un organismo equivalente al Comitato di analisi antiterrorismo nel quale forze dell’ordine e servizi italiani si scambiano informazioni. Infine, Minniti ribadì la necessità di lavorare sui valori e di avviare una “contronarrazione” sui mezzi di informazione e sul web. Nel gennaio 2015 ci sono stati gli attentati parigini a Charlie Hebdo e all’Hiper Kasher, dopo oltre un anno e mezzo da quell’auspicio di Minniti ancora mancano un Casa europeo e un utopistico servizio di intelligence comune mentre ci sono stati gli attentati di Parigi, di Bruxelles, di Istanbul. E ora di Nizza.

Ha ragione il ministro della Difesa, Roberta Pinotti, quando definisce “una falsa idea” quella per la quale l’Italia sarebbe più al riparo da attacchi terroristici rispetto alla Francia per un diverso ruolo militare. L’Italia, infatti, “è la prima forza, dopo gli Usa, in Iraq e abbiamo avuto dei successi molto importanti contro il cosiddetto califfato” ha aggiunto il ministro. Sappiamo bene, però, che gli esperti dell’antiterrorismo e l’intelligence hanno sempre detto riservatamente al governo che un maggiore impegno militare aumenterebbe il rischio di ritorsioni sul territorio nazionale. Questa analisi potrebbe spiegare la tuttora poco comprensibile decisione, anche in una semplice chiave di politica estera oltre che di difesa, di limitare il ruolo degli aerei italiani in Iraq: oltre a due velivoli a pilotaggio remoto Predator, sono in servizio quattro caccia Amx (che hanno sostituito altrettanti Tornado) per “ricognizione e sorveglianza” ma non per bombardare le postazioni dell’Isis come fanno gli alleati.

Non c’è dubbio che la situazione francese sia radicalmente diversa dalla nostra. Il terrorista franco-tunisino autore della strage di Nizza ha fatto dire al presidente del Copasir, il leghista Giacomo Stucchi, che “lo stop dell’incremento dei foreign fighters occidentali non è necessariamente un segnale positivo, perché essi diventano ‘internal fighters’. La vera questione non è l’emulazione, ma la competizione. Chi realizza l’attentato con più vittime entra nella storia”. Anche questa volta, come all’indomani degli attentati precedenti, si torna a sperare in un diverso approccio europeo ai problemi della sicurezza, a cominciare dalla riunione dei ministri degli Esteri prevista lunedì a Bruxelles.

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