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Ecco quello che manca alla ottima riforma costituzionale

Maria Elena Boschi e Sabino Cassese

Non penso che questa riforma basti. C’è da fare di più.

Innanzitutto, occorre rafforzare i contrappesi. Il modello kelseniano di democrazia (gestire insieme) va coniugato con quello schumpeteriano (tu gestisci, io controllo, domani gestirò). Vanno condivisi alcuni valori di fondo. Ci si deve dividere sugli altri, sui quali competere. Su questi altri, debbono esercitarsi i controlli di chi è escluso. Questi controlli servono a bilanciare l’esercizio del potere da parte della maggioranza.

Il Parlamento ha abdicato, e non da tempo recente, alla funzione di controllo. È solo organo di legislazione o di ratifica delle leggi proposte dal Governo; la funzione di controllo del Governo non viene esercitata. La Corte dei Conti, che sarebbe l’“occhio del Parlamento”, è lasciata sola a predicare (e spesso finisce per razzolare male). Già ora con la riforma il nuovo Senato potrà essere un controllore più efficace, avendo una legittimazione diversa ed essendo espressamente chiamato a valutare le pubbliche amministrazioni e il loro rendimento sul territorio. Si tratta di una nuova competenza che andrà adeguatamente sviluppata.

La seconda esigenza è quella di dare finalmente attuazione a quell’ordine del giorno Perassi, che fu dimenticato dall’Assemblea Costituente. Nel clima della Guerra Fredda, De Gasperi, preoccupato della esigua base di consenso del nuovo Stato e spaventato dai risultati elettorali del 1946, influenzò i “padri costituenti” perché moltiplicassero le garanzie e le forze ritardatrici. I risultati elettorali del 1948 rassicurarono il partito di maggioranza e le garanzie furono lasciate in un cassetto fino al 1956 (la Corte costituzionale) e al 1970 (le Regioni). Oggi che il contesto è radicalmente cambiato, alcune soluzioni sperimentate con successo in altri ordinamenti potrebbero essere utilmente introdotte (ad esempio la sfiducia costruttiva).

L’ultima esigenza è quella di riequilibrare i poteri. C’è un continuo straripamento dei poteri delle procure, a danno dello Stato di diritto e con un continuo condizionamento degli altri poteri. Quello esecutivo e amministrativo è ormai ridotto al silenzio, perché le procure sono la suprema autorità ambientale, la suprema autorità urbanistica, l’ultima istanza della politica industriale, e così via. E non ci si ferma qui, perché il Senato sta esaminando un testo già approvato dalla Camera, che estende le misure di prevenzione in materia di mafia a tutta le ipotesi di corruzione. Si tratta di una legislazione ispirata dalla regola del sospetto, che metterà in ginocchio quel che resta dell’amministrazione pubblica italiana. Si crea un altro ramo del diritto. Nessuno vorrà prendere più decisioni per timore di essere soggetto ad immediate misure di prevenzione senza processo.

C’è, quindi, molto da fare, e molti mali nuovi vanno impediti.

Quinta e ultima parte dello studio “Cinque domande sulla riforma della Costituzione” (qui si può leggere la prima, qui la seconda, qui la terza e qui la quarta) a cura del giudice emerito della Corte costituzionale Sabino Cassese e pubblicato da Assonime (Associazione fra le Società Italiane per Azioni) (qui il pdf completo)



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