Skip to main content

DISPONIBILI GLI ULTIMI NUMERI DELLE NOSTRE RIVISTE.

 

ultima rivista formiche
ultima rivista airpress

Forze armate, Nato e Gulen. Tutte le stranezze del golpe fallito in Turchia

GIANCARLO ELIA VALORI, geopolitica

Le FF.AA. turche stanno combattendo sia nell’area curda del PKK e, inoltre, nel contesto dell’operazione InherentResolvediretta dagli USA contro l’Isis.
Questo spiega in parte la scarsa quantità di forze di terra disponibili per il golpe di Luglio contro RecepTayypErdogan e il suo AKP. Il “partito per la giustizia e lo sviluppo”, fondato proprio da Erdogan, nasce dalla fusione, nel 2001, di vari partiti islamisti e conservatori.

La Corte Costituzionale di Ankara imposta però la procedura per la chiusura forzata dell’AKP già nel 2008; ma la richiesta di cessazione delle attività del partito viene cassata per un solo voto, pur permanendo tra i giudici costituzionali turchi il sospetto di “attività anti-secolari” che porteranno comunque alla diminuzione del 50% del finanziamento pubblico all’AKP.

Si tratta quindi di un partito, quello di Erdogan, legato soprattutto alla Fratellanza Musulmana che, in effetti, nei suoi siti e nella sua propaganda, lo pone come esempio di formazione politica efficace e “musulmanista” non “islamista”, per usare la loro terminologia.
Ma per capire bene il rapporto tra questo partito, che è ormai un partito-stato e le forze armate, è allora necessario far riferimento alla questione di Ergenekon.
Ergenekon è il nome di una setta segreta operante nelle FF.AA. turche che viene sgominata dal governo di Erdogan nel 2009.

La setta probabilmente permane, come il monte degli Altai da cui prende il nome, tra le molteplici reti militari, e non è escluso che abbia stimolato il recente golpe.
Le azioni della polizia, fedele al regime AKP sono state, in questo caso di Ergenekon, piuttosto ambigue.
Ben 194 militari, talvolta di alto grado, sono accusati di voler rovesciare le istituzioni, il Parlamento e di aver rubato segreti di Stato, oltre a organizzare gruppi armati “terroristici”.

E’ probabile che il fallito golpe del 2016 sia, appunto, il frutto di vecchie reti di Ergenekon, che però ormai non hanno più accesso ai vertici dei Servizi o all’ancora potente magistratura, non ancora ligia alla regola dell’AKP.

La faciloneria con cui sono state attuate certe recentissime operazioni da parte delle FF.AA. golpiste, nel tentativo di questo Luglio di prendere il potere, potrebbero far pensare ad una fiducia mal riposta in strutture coperte della magistratura, della polizia, ormai piena di militanti AKP, dello stesso MIT, il servizio segreto di Ankara.

Vediamo quindi la sequenza del golpe, che ci può chiarire anche il senso politico delle operazioni militari che si sono svolte nella notte tra il 15 e il 16 Luglio. E’ anche molto probabile che l’azione militare sia stata accelerata dal fatto che il 1° Agosto sarebbe stata messa in opera la rotazione dei quadri e dei dirigenti delle FF.AA., molti dei quali già implicati nel golpe di cui, nelle segreterie internazionali e nei servizi NATO, si parlava già da almeno tre mesi.

Tra i leader del colpo di stato vi sono, come afferma Erdogan, ufficiali legati al movimento di Fethullah Gulen, di cui vedremo il ruolo in Turchia oggi.
Si tratta di Akin Ozturk, capo di stato maggiore dell’aviazione, del colonnello Muharrem Kose, ed altri, tutti in rilevanti posizioni militari.

Il golpe era stato annunciato nella notte di venerdì, con un documento dei militari in cui si richiedeva “il ritorno all’ordine costituzionale, alla democrazia, ai diritti umani e alla supremazia della legge”.
Il blocco dell’aeroporto “Ataturk” con i carri armati golpisti dura circa due ore, fino a quando la massa di “cittadini”, o più probabilmente militanti dell’AKP, non costringe i tanks a mettersi da parte.

Nessun golpista può andare contro il popolo che vuole “liberare”, e la massa di popolazione inerme è l’arma migliore per bloccare ogni tipo di sistema d’arma.
Un contro golpe quindi di tipo nuovo, di massa e di organizzazioni dal basso, probabilmente già allertate, che saturano le strade, costringono i mezzi golpisti ad arretrare o a bloccarsi, mentre i militari percepiscono l’uso dell’arma peggiore contro un golpe: il loro isolamento rispetto alla popolazione.
I comandanti delle armate appaiono alla Televisione, si dissociano dall’azione ancora in corso, ordinano alle truppe il ritorno nelle loro caserme.
Non è pensabile che i comandanti in capo non sapessero però del golpe in preparazione.

Evidentemente lo hanno lasciato andare avanti, forse per assumerne il comando al momento giusto, ma l’operazione era pensata con una massa d’urto militare troppo piccola per coprire gli obiettivi sensibili, oltre ad altri errori tecnici che meravigliano chi si occupi di questioni militari. Non è stata colpita seriamente, infatti, la sede dei Servizi. Il MIT, è bene ricordarlo, ha sul suo stemma il profilo di Ataturk. Non è stato arrestato e, magari, ucciso Erdogan, che pure stava in ferie a Bodrum.

Non ci sono stati bombardamenti efficaci sul Parlamento e sugli altri edifici del potere, che dovevano essere distrutti nella prima fase del golpe.
Insomma, tutto fa pensare che le FF.AA. turche, tutte, abbiamo voluto saggiare la forza del regime AKP per poi lanciare in futuro l’operazione definitiva. Si afferma, da alcune fonti di stampa, che la tensione sia scoppiata, tra le forze golpiste, quando il governo ha esplicitato l’ordine di combattere non contro, ma a favore dell’Isis, nella prossima configurazione del quadrante siriano.

Se l’asse USA-Russia si rafforza, come sembra dalle ultime dichiarazioni di entrambi, la Turchia, che voleva la parte sunnita della Siria, sarà marginalizzata.
E quindi niente di meglio che ricominciare il vecchio gioco del sostegno, più o meno coperto, al Daesh-Isis.
E’ vero che i golpisti, poi, hanno chiuso alcuni social media, ma non tutti, mentre la TV, dopo un breve lasso di tempo, ha ricominciato a funzionare.

Un golpe è soprattutto una operazione di guerra psicologica e di comunicazione. Strano, peraltro, che truppe di formazione NATO e i loro ufficiali non siano stati edotti in queste tecniche, che fanno ormai parte della formazione basic di ogni ufficiale dell’Alleanza.
Strano, poi, che non ci sia stata alcuna reazione nei centri NATO, mentre si alzavano in cielo gli F-16 dei golpisti. Non risulta alcuna segnalazione, né tantomeno nessun allarme.

La base di Incirlik, che è paradossalmente la sede di un potente centro di Comando-Controllo dell’Alleanza, è stata anche uno dei punti di aggregazione della rivolta militare, sotto gli occhi degli USA e delle altre nazioni presenti.

Ad Incirlik, ricordiamo, i turchi hanno tagliato la luce durante tutto il golpe, mentre ormai la base ospita droni, A-10, aerocisterne KC-135 e una parte dei corpi di élite americani, insieme ad armamenti evoluti di altri Paesi dell’Alleanza che partecipano ad Inherent Resolve.

La NATO, peraltro, non ha monitorato nemmeno l’aviogetto di Erdogan, che è stato in volo almeno 5 ore, che non è nemmeno stato attaccato dall’aviazione golpista, ancora padrona in quel momento dei cieli di Istanbul.

Da ciò deriva che il presidente turco ha una sua propria rete di intelligence, fatta di militanti del suo partito, che a lui devono tutto, di funzionari del MIT, di semplici cittadini capaci di penetrare le reti “kemaliste” e laiche della Turchia, ancora molto diffuse tra la popolazione.
Un ulteriore elemento da notare è la questione del movimento di Fethullah Gulen, al quale Erdogan ha immediatamente imputato l’intera colpa del golpe fallito.
Il movimento di Gulen è certamente presente, sia pure di nascosto, nella società turca.
L’Imam, che oggi vive a Saylorsburg in Pennsylvania, è il leader di un vasto movimento, denominato Hizmet.

Un po’ setta islamica (Gulen ha fondato con Erdogan l’AKP) e molto rete di affari, imprese, riviste e giornali, scuole e università, mentre si ipotizza che almeno il 10% della popolazione turca sia gulenista. Un movimento che predica la pace con gli alevi dell’Anatolia, i curdi, i cristiani, gli ebrei e propaganda un islam di tipo mistico che ricorda da vicino le sette sufi che coprirono, insieme alle logge massoniche italiane operanti a Salonicco e a Alessandria, lo sviluppo del movimento dei “Giovani Turchi”.

Anni fa, il leader islamista ma sincretico Gulen ha iniziato, secondo fonti francesi, una vasta operazione di infiltrazione di suoi adepti nelle Forze Armate Turche e perfino nei Servizi, che peraltro non hanno mai goduto della piena fiducia di Erdogan. E’ quindi probabile che la radice gulenista del golpe, denunciata da Erdogan, sia reale, ma è del tutto irrazionale collegare la predicazione islamista e pacifista di FethullahGulen alle forze armate, palesemente kemaliste e laiciste, che hanno attuato il fallito colpo di stato.

Se un nesso c’è, è da collegarsi all’atteggiamento USA, prima silenzioso, poi reticente infine di sostegno alla “democrazia” dell’AKP. La Turchia non può essere destabilizzata. Ne va di tutta la politica dell’Alleanza, e non solo in Medio Oriente. Se un golpe ci deve essere deve avvenire con la quasi totalità della FF.AA., che sono anch’esse state penetrate dalla “Stasi” coperta dell’AKP e della Presidenza che, ormai, non si fida più di nessuno e punta alla creazione, anche con il recente accordo con Israele e con la Russia, di un grande hub universale del gas e del petrolio mediorientale.

Una ulteriore fonte di arricchimento per Erdogan, che non disdegna alcun bakshishe risulta essere uno degli uomini più ricchi del mondo.
Per non parlare della sua famiglia: Bilal, uno dei figli, è collegato alle reti clandestine di vendita del petrolio dell’Isis, mentre il genero, già ministro dell’Energia Berat Albayrak e oggi primo ministro, è noto per le sue operazioni petrolifere off the record.Il vero golpe turco scoppierà quando il regime di Erdogan non potrà più sostenere economicamente i propri “militanti”; e quando la gente saprà delle immense ricchezze accumulate dal Presidente alle spalle del tanto proclamato “popolo turco”.

Allora, le masse sosterranno i militari. E costringeranno l’inutile, silenziosa, ridicola UE a prendere posizione sulla questione turca, senza nascondersi dietro al miraggio delle “elezioni regolari”, peraltro dubbie. E magari, l’inutile UE dovrebbe porsi delle domande sulla reale utilizzazione dei ben 3 miliardi di Euro l’anno che essa concede alla Turchia per mantenere i migranti sul suo territorio.

×

Iscriviti alla newsletter