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Cosa ha detto il generale Bertolini lasciando la guida del Coi

Mai vista una standing ovation a una cerimonia militare. L’ha meritata un comandante fuori dal comune come il generale Marco Bertolini, 63 anni, che è andato in pensione lasciando la guida del Coi, il Comando operativo di vertice interforze che coordina tutte le missioni, all’ammiraglio Giuseppe Cavo Dragone, 59 anni, fino a pochi giorni fa comandante delle forze speciali. Un discorso appassionato, ricco, politico nel senso vero del termine quello di Bertolini, da cui trasudavano orgoglio per la divisa e soprattutto orgoglio per l’Italia che in tante occasioni (questo il messaggio) dovrebbe averne di più. La cerimonia del cambio si è tenuta nella sede del Coi all’aeroporto Baracca di Centocelle, a Roma, davanti al capo di Stato maggiore della Difesa, generale Claudio Graziano.

Bertolini è stato un ufficiale che nella sua carriera ha sempre detto quello che pensava anche a rischio di confliggere con il mondo politico. Da quattro anni comandante del Coi, da nove anni in comandi interforze, primo comandante delle Forze speciali, un passato nella Folgore e come comandante degli incursori del Col Moschin, Bertolini è uno che non si è fatto mancare niente e che certo non amava la scrivania. Non poteva non ricordare le tante missioni in giro per il mondo nelle quali l’Italia ha avuto e ha un ruolo determinante, dall’Iraq e dal Kurdistan iracheno al “bellissimo Libano”, dalla Libia alla “bellissima e sfortunata Somalia, che guarda all’Italia con fiducia”. E naturalmente i Balcani, la cui “parcellizzazione rischia di consegnarli ai foreign fighters o al dramma delle migrazioni”, ed Eunavfor Med, l’operazione europea nel Mediterraneo. Tra i tanti caduti Bertolini ne ha voluto ricordare uno, il generale Giangiacomo Calligaris, comandante dell’Aviazione dell’Esercito, morto in un incidente con l’elicottero nel gennaio 2014 mentre addestrava giovani piloti. “Non siamo meri burocrati – ha sottolineato l’ormai ex comandante – il ritmo al Coi è incalzante e facciamo il meglio per le unità in operazione” per poi regalare un metaforico passaggio di consegne ai “giovani che hanno scelto le Forze armate e che affronteranno sfide diverse” da quelle della sua generazione.

La parte finale del discorso è stata quella più politica. “C’è bisogno di investire ancora nel Coi se vogliamo governare un futuro difficile e drammatico, un futuro nel quale la Storia sarà in movimento – ha detto – ed è bugiardo chi non ci vuole bene e magari poi realizza una fiction in prima serata o un talk show pomeridiano”. E’ un’epoca in cui bisogna guardare fuori dal Paese, ha aggiunto Bertolini, “chiedendoci quale ruolo possiamo e dobbiamo avere” perché il rischio è che “non aumenti l’autostima” e ci siano limiti “alla sovranità nazionale”. Dopo la cerimonia, ha spiegato questo punto a Formiche.net, aggiungendo che da sempre l’Italia partecipa a missioni sotto bandiere di organizzazioni internazionali ma, ha fatto capire, solo gli altri Paesi ottengono “dividendi”. Infine, è l’orgoglio di italiano e di militare che ha voluto lasciare ai presenti come ultimo messaggio. I soldati, ha detto, “sono l’espressione virile di un Paese che solo grazie a loro può considerarsi Patria” e anche la sua carriera, cominciata alla Folgore, proseguita al Col Moschin “imparando tutti i modi per rompersi l’osso del collo” e poi con tanti altri comandi, ha significato essere stato impiegato per l’Italia, come suo nonno (volontario nella Prima guerra mondiale nonostante i quattro figli e morto in guerra) e suo padre, volontario nella Folgore nella Seconda guerra e poi prigioniero degli inglesi in Africa.

Un emozionato Cavo Dragone ha preso le consegne con pochissime parole di circostanza, ma la sua qualificatissima storia professionale garantisce continuità in uno dei comandi più delicati. Graziano, invece, ha reso omaggio a Bertolini ricordando tra l’altro il suo ferimento nel Libano del 1982, il suo comando di incursori in Somalia e le operazioni in Afghanistan, tanto da definirlo “parte della storia d’Italia e dell’Esercito degli ultimi 40 anni”.
Sono queste le cerimonie che il mondo politico dovrebbe “studiare”.



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