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Se la Germania tifa Italia sulle banche

Maastricht, popolari

Lentamente, ma inesorabilmente, la verità inizia a emergere. La politica europea, fortemente ispirata e condizionata negli ultimi anni dalla Germania, si era illusa di risolvere qualsiasi problema legato al mondo bancario attraverso l’Unione bancaria, ogni criticità attraverso lo schema di risoluzione del bail-in. Si considerava, infatti, il sistema bancario europeo nel suo complesso in ottima forma e le situazioni problematiche del tutto isolate e limitate ad alcuni Paesi (primo fra tutti l’Italia). Dunque, sempre secondo la logica tedesca, finito il tempo degli aiuti di Stato – ai quali pure tanto era ricorsa la Germania – e decise rapidamente le regole, queste andavano applicate senza eccezione alcuna. Il problema della crisi economica, pure considerato ma colpevolmente sottovalutato, non avrebbe influenzato il sistema bancario.

Ma la realtà è, come sempre, più complessa ed articolata di quello che si possa immaginare e così, oggi, i nodi stanno venendo al pettine. E’, infatti, sempre più chiaro che il problema delle banche è un problema non soltanto dei singoli istituti o dei singoli Paesi, ma è un problema dell’intera Europa. Malgrado l’economia tedesca continui a essere, grazie a competitività e diversificazione, la più solida di tutta Europa, il suo settore bancario non è certo immune dai problemi che affliggono il resto del continente. Le banche tedesche, tutte, come segnalato anche dal Fmi, continuano a fare un ampio ricorso alla leva. Le difficoltà di una banca di sistema come la Deutsche Bank sono ormai note. Questa banca ha in bilancio derivati per un ammontare pari a 15 volte il pil tedesco. La Bremer Landesbank, l’importante banca pubblica della città del nord della Germania, è in grosse difficoltà per la forte esposizione con i crediti del settore navale e la vigilanza bancaria della Bce, in vista delle necessarie pesanti svalutazioni sui prestiti deteriorati nel settore marittimo, avrebbe chiesto al board misure di rafforzamento del capitale per 700 milioni.

Se questa è la situazione in Germania, da sempre considerata la locomotiva dell’Europa, è evidente che il problema della tenuta del sistema bancario, non è affatto un problema della sola Italia, ma è proprio il Governo italiano che sta producendo, in queste settimane, una forte pressione nei confronti della Commissione europea per evitare una catastrofica destabilizzazione in vista dell’esito degli stess test della Bce sugli istituti di rilievo sistemico che verranno resi noti il prossimo 29 luglio. Lo fa insistendo sui margini di flessibilità delle regole europee per ottenere aiuti alle banche finalizzati a contrastare un ulteriore e pericoloso turbamento dell’intera economia. In questa contesa tra Roma e Bruxelles, Berlino sembra lontana e, mentre apparentemente continua a sostenere, forse con meno determinazione rispetto al passato, la necessità di non derogare alle norme europee, sotto sotto spera che il braccio di ferro innescato dal ministro dell’Economia italiano Padoan si risolva a favore di quest’ultimo. Se così andassero le cose, la prima ad avvantaggiarsi di un alleggerimento della rigidità imposta all’intera Europa dalla Germania, sarebbe proprio la Germania che raccoglierebbe i frutti dello sforzo italiano, senza alcun dispendio di energie e soprattutto senza intaccare la propria immagine di tutrice inflessibile del bene comune dell’Unione europea.

Del resto, questa apparente contraddizione che porta la Germania a “tifare”, seppur in maniera celata, per la flessibilità richiesta dall’Italia, è ormai evidente anche tra gli economisti tedeschi più ortodossi. Il professor Hans-Peter Burghof, docente dell’Università di Hohenheim, pur ribadendo che la direttiva sulle risoluzioni bancarie “è posta a fondamento dell’Unione bancaria e derogarvi sarebbe l’ennesima conferma che le regole che gli Stati si danno non vengono poi rispettate” e che quindi non si può prescindere dal bail-in, non può non riconoscere che “con il senno di poi approvare la direttiva in tempi così stretti è stato un errore di costruzione”. “L’Unione bancaria – sempre secondo l’economista tedesco – è stata partorita troppo velocemente senza dare, alle istituzioni dell’Unione europea, gli strumenti necessari per governare direttamente crisi come questa”.

Insomma, sembra che la politica dell’austerità e dell’inflessibilità che stava portando a una drammatica e irreversibile crisi dell’Unione europea e che indirettamente può essere considerata una dei motivi della Brexit, è, ogni giorno, sempre è più debole. La questione bancaria è una questione europea ed è necessario mettere il sistema bancario nelle condizioni di fare in sicurezza il proprio mestiere che è quello di finanziare l’economia reale. La Germania, le cui maggiori banche mostrano i problemi di tutte le altre banche europee, forse non lo riconoscerà apertamente ma se ne sta accorgendo e trarrà benefici da un cambio dal necessario e auspicato cambio di rotta.



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