Con Stefano Parisi neo Ceo di un’area liberalpopolare che intende smarcarsi dalla vecchia classe dirigente forzista, si apre di fatto una fase diversa per il tripartitismo italiano. Dove, accanto al Pd renziano alle prese con l’ala franceschiniana e bersaniana, e al M5S forte dei risultati di Roma e Torino, il fu Pdl ha fatto una mossa in una direzione che non mira al semplice populismo di protesta, ma che questa volta (forse) guarda davvero all’area cosiddetta moderata in maniera strutturata.
Andando a ritroso il seme, in verità, va rinvenuto in quel terreno arato in occasione delle scorse amministrative milanesi, dove Parisi è andato vicinissimo al colpaccio, grazie ad una campagna elettorale basata su temi e non su generiche promesse di cambiamento. Si disse, da più parti, che Milano non era Roma, ma comunque il cambio di passo (anche comunicativo) di una coalizione salvinicentrica, con annesse scivolate come quella sulla bambola gonfiabile, è avvenuto nei fatti.
Se Parisi riuscirà su scala nazionale ad aggregare – come non è riuscito a fare Passera – una nuova (nelle idee e nei volti) area liberalpopolare lo dirà solo il tempo, anche in considerazione degli esiti del referendum costituzionale del prossimo autunno.
Ciò che è atteso, in un ragionamento politico dal carattere federalista (così come da termini utilizzati in occasione della cena di Arcore che ha investito l’ex ad di Fastweb) è la mossa che è chiamata a fare ora la destra del cdx.
Detto della performance romana alle amministrative di Fratelli d’Italia, che è direttamente proporzionale all’esposizione romana in prima persona della sua leader, il nodo vero è il rapporto con il lepenismo leghista. Se da un lato la novità Parisi punta a calmierare un elettorato che in alcuni centri ha severamente punito la Lega a trazione salviniana (doppiata a Milano da Forza Italia per numero di voti), dall’altro anche la destra potrebbe pensare di immaginare un percorso diverso: non centrista, viste le fibrillazioni continue e costanti con gli alfaniani e le vecchie frizioni con la derive terziste di epoca montiana. Ma in chiave di una definitiva modernità, con in prima battuta una schiera di volti nuovi, presentabili e preparati sui vari dossier strategici, certamente supportati esternamente da saggi che non vanno rottamati così come fatto nel campo avverso.
Ciò che per certi versi fu, con condizioni, leader e percezioni diversissime, Alleanza Nazionale.
Le raccolte di firme per uscire dall’euro, le polemiche sterili anti Ue senza entrare nel merito dei singoli trattati da migliorare, sono due fasi che non solo non hanno prodotto consensi, ma che stanno facendo aprire gli occhi a chi immagina, domani, una destra moderna federata con un polo liberalpopolare, capace di fare la rivoluzione liberale, la sburocratizzazione del paese passando da privatizzazioni che siano funzionali e non svendite, senza svilire le famiglie e i nuovi poveri italiani. Naturale alternativa al Partito Democratico e pronta a misurarsi dignitosamente, in caso di urne improvvise, se le cose dovessero precipitare prima della naturale scadenza delle Camere.
Il tutto, in queste prossime settimane, andrà comunque tarato con un M5S vicinissimo al traguardo storico di un possibile exploit in caso di elezioni politiche e con un Pd che, al netto delle sue turbe interne, il cambio di passo lo ha già fatto sia in Segreteria che nella fase governativa con Renzi premier.
Ecco perché, al di là della Leopolda di destra su cui stanno lavorando gli uomini di Parisi per metà settembre, aumentano quelli che nel cosiddetto centrodestra guardano con favore e interesse ad un periodo di strutturazione, con l’obiettivo, comunque vadano le cose al referendum, di creare ciò che in Italia manca da anni.
Un contenitore repubblicano stabile e funzionante, che sopravviva a leader e leadership e che, come avviene anche altrove, sia punto di riferimento per quei cittadini che hanno a cuore un’alternanza di governo che non si traduca in salto nel vuoto o nell’antipolitica tout court.
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