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Isis, la strage di Rouen e le sfide del popolarismo

La sconvolgente vicenda di Rouen ha costituito la base per molte riflessioni, anche culturali, sul rapporto tra immigrazione e islamismo, al di là dell’immediato rilievo di cronaca.
L’intreccio tra atti di guerra e religione, tra occidente e Islam, tra l’invocazione di una qualche strategia europea comune e le più tradizionali risposte nazionali ha costituito il fondamento delle singole risposte, in una sorta di vortice culturale e politico che rende difficile tentare di distinguere un aspetto dall’altro.

Tenendo conto del fatto che la drammaticità degli eventi di Rouen pone in evidenza l’aspetto violento delle morti stesse, appare necessario cercare di collocare anche i fatti drammatici di Rouen nel più vasto problema del fondamento culturale dell’immigrazione in Europa nel tempo presente.
Occorre, infatti, avere presente anche in questa congiuntura che nessuna soluzione a singoli problemi può essere proposta senza l’equilibrio necessario tra passato, presente e futuro.
E’ infatti noto che le migrazioni hanno costituito un fatto complessivo di contatti tra popoli di religioni diverse, tra popoli diversamente orientati nella definizione delle regole del governo (tribù, imperi, regni, repubbliche) che hanno concorso, in modi e tempi diversi, al processo di costruzione europea e che, in modi altrettanto diversi, vivono la stagione attuale soprattutto all’indomani della Brexit.

Le sconvolgenti vicende di Rouen hanno posto in evidenza, contestualmente, tutte e tre le grandi questioni: il rapporto tra religioni, nella significativa divergenza delle une rispetto alle altre, riguardo il rapporto tra potere temporale e potere spirituale (basti pensare alle tante connessioni tra religione e Stato in tante parti del mondo contemporaneo); il rapporto tra occidente e Islam, che taluno legge nel contesto delle guerre di civiltà, mentre permangono tratti molto significativi delle più recenti esperienze coloniali; la tensione tra la perdurante e faticosa ricerca di una risposta europea comune (basti pensare alla perdurante vaghezza della pur encomiabile proposta italiana di un “migration compact” e la fortissima tentazione di risposte nazionali sostenute anche in considerazione della dimensione nazionale e non europea delle elezioni politiche).

La contestualità delle tre grandi questioni pone, pertanto, in evidenza la natura culturale dell’intreccio tra di esse.
Viene in evidenza la complessiva base culturale di ciascuno dei tre problemi. Il rapporto tra Stato e religione, da un lato, e delle religioni tra di loro dall’altro. L’identità stessa dell’occidente, in quanto civiltà in confronto o in contrasto con altre civiltà. Le ragioni dell’integrazione europea, all’indomani della seconda guerra mondiale, e rispetto al contesto immediatamente successivo alla guerra fredda, tra paesi atlantici e filo sovietici, fino alla scomparsa dell’Unione Sovietica nel 1991.

Su ciascuno di questi punti la riflessione culturale è apparsa fortemente condizionata dalla specifica storia nazionale: in Gran Bretagna e in Francia la più recente tradizione coloniale ha finito con il determinare il modello di immigrazione, favorendo quella proveniente dai Paesi già colonie, da cui sono conseguiti i due modelli di immigrazione paradigmatici, del cosiddetto multiculturalismo britannico e dell’assimilazione francese. Il primo tendente alla separazione tra la vita quotidiana britannica e la vita delle diverse comunità etniche provenienti dalle più rilevanti colonie britanniche. Il secondo fortemente legato, in particolare, al rapporto della Francia con l’Africa magrebina.

L’Italia – come è noto – soltanto negli ultimi decenni è passata dalle ridentissime ondate di emigrazione alle crescenti immigrazioni provenienti da Paesi prevalentemente africani.

La Germania ha vissuto in modi e tempi diversi la tumultuosa stagione della comprensione del nazismo, la stagione dell’immigrazione prevalentemente turca, favorita dallo sviluppo economico, e solo di recente è stata investita dal complessivo fenomeno islamico.

In tutti gli altri Paesi europei abbiamo assistito all’uno o all’altro fenomeno che nell’insieme ha caratterizzato la politica dell’immigrazione degli ultimi anni.
Si tratta di fenomeni che hanno finito con l’assumere caratteristiche diverse con il tempo e che richiedono un approfondimento culturale complessivo che invoca un aggiornamento, anche radicale, dei programmi posti a fondamento dello stesso processo di integrazione europeo all’inizio degli anni cinquanta.

La contestualità viene, infatti, oggi vissuta in modi anche radicalmente diversi dalla fase iniziale del processo medesimo e deve, pertanto, essere affrontata in modi anche coraggiosamente nuovi, considerato il prevalere quasi esclusivo della dimensione economica nella fase attuale del processo di integrazione europea.
Il popolarismo ha costituito, e non da solo, il processo di integrazione europea, ma è stato sino ad ora silenzioso proprio rispetto alla contestualità.

Al fondamento ultimo della cultura del popolarismo (non necessariamente coincidente con questo o quello schieramento politico) vi è, infatti l’uomo, e la costruzione di una complessiva strategia dell’immigrazione deve saper tener conto della religiosità, delle specificità dell’occidente (sapendo andare oltre la ricorrente tentazione coloniale) rispetto ad altre civiltà e del significato, anche nuovo, delle frontiere nazionali al tempo della globalizzazione.
Occorre, dunque, saper andare oltre le affermazioni verbali (talvolta puramente ripetitive) della soggettività popolare europea e dimostrare che, di fronte alla contestualità che ci è stata, anche violentemente, imposta a Rouen, il popolarismo – necessariamente attualizzato – contiene tutti gli elementi necessari per affrontare i tempi nuovi.



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