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Vi racconto il calvario giudiziario che mi ha cambiato la vita. Parla Ilaria Capua

Ilaria Capua circular health

Ilaria Capua, esperta virologa, dopo un’accusa di associazione a delinquere, epidemia e tentata epidemia, è stata prosciolta lo scorso 5 luglio perché “il fatto non sussiste”. Seppure Capua sia stata sotto indagine per quasi un decennio – le indagini iniziarono nel 2005 – la notizia dell’inchiesta emerse solo nel 2014, quando il giornalista Lirio Abbate ottenne parte delle carte dei magistrati e il settimanale l’Espresso dedicò al caso l’intera copertina.

L'Espresso - Caso Capua

 

Qual è la prima cosa che le è venuta in mente dopo la sentenza di proscioglimento?

È finita.

È felice? 

No, non riesco ad esserlo. Mi sento “cementificata” dentro. Non riesco a provare gioia. Ho sofferto così tanto che ci vorrà tempo per riuscire a provare gioia, la liberazione da un incubo.

Ha mai pensato che la sentenza potesse essere diversa?

Sono sempre stata convinta della mia innocenza e infatti sono stata prosciolta da  tutti i capi d’accusa, anche quelli caduti in prescrizione. Tutti tranne uno dove la giudice ha derubricato un  reato, che così risulta prescritto. Non sussistono quindi l’epidemia, l’abuso d’ufficio, l’associazione a delinquere e il resto. È caduto tutto l’impianto accusatorio. È pur vero anche che se si è giunti a formulare un castello di accuse del genere non so dove si sarebbe potuti arrivare. Chissà.

Nel 2013 fu eletta alla Camera con Scelta Civica ma nel giugno  2016 si è dimessa per fare la direttrice di un centro di ricerca vicino ad  Orlando, in Florida. Scelta necessaria? 

Non volevo più essere un’anatra zoppa perché con quelle accuse non ero libera e le accuse potevano essere usate contro di me a scapito della mia credibilità. Quindi questa volta ho deciso di accettare l’offerta di lavoro in Florida al contrario di quanto  fatto finora. Non sarei mai voluta andare via dall’Italia.

La vicenda come è stata vissuta in Parlamento?

In Parlamento avrei voluto fare atti più coraggiosi e incisivi, ma non potevo. Ho dovuto rifiutare progetti che avrei voluto portare avanti, come quello sui tumori femminili e quello sulla creazione di un gruppo interparlamentare contro HIV, ma poi pendeva su di me l’accusa di essere collusa con le aziende farmaceutiche e ho avuto paura di screditare le iniziative di cui mi facevo promotrice. Ho dovuto dire: “Non posso, non vi conviene avermi come testimonial”. Così mi sono dimessa e sono andata negli Stati Uniti anche perché non sapevo quanto sarebbe ancora durato questo strazio. Tre, quattro, cinque anni? E poi ho una bambina che all’epoca aveva 10 anni. È mio dovere proteggerla dalle maldicenze sui suoi genitori.

In Florida questa vicenda ha influenzato la sua carriera?

Lavorare negli Stati Uniti  è complicato dal punto di vista burocratico. Io avevo delle accuse orrende contro di me. Sono stata trasparente, ho informato i vertici dell’Università e gli avvocati che si occupano di immigrazione e hanno creduto a me.

E le persone con cui lavora che ne pensavano?

Gli addetti del settore sanno che sono accuse assurde: reato di procurata epidemia per un virus (H7N3 Pakistan) che non ha mai circolato né  Italia né Europa e che non infetta le persone. Anche loro hanno creduto a me.

Il giornalista Lirio Abbate l’ha mai più ricontattata?

No. Mi chiamò il  primo aprile 2014 per informarmi dell’indagine in cui io ero coinvolta insieme ad altre 41 persone. Mi fece tre domande: conosce Paolo Candoli – manager di Merial, società che opera nel settore della Salute Animale all’epoca sotto indagine dei NAS –? Sì. Ha un brevetto? Sì. Ha fatto consulenze? Sì. Mi chiamò da un telefono criptato, provai a ricontattarlo per mail dicendogli che avevo tutta la documentazione che provava il contrario di quello che lui mi aveva detto. Cercai insistentemente anche Manfellotto, direttore  de L’Espresso dell’epoca. Non mi rispose mai nessuno. Introvabili. Né lui né nessun altro.

Dopo la sentenza di proscioglimento il settimanale ora diretto da Luigi Vicinanza ha pubblicato un articolo, sempre a firma Abbate, che titolava “Traffico dei virus, Capua prosciolta. Ma le intercettazioni svelano il grande business”. Che cosa ha pensato?

Si commenta da solo. L’ho solo scorso. Quando leggo cose su questa brutta vicenda vengo presa da turbamento profondo. So che Abbate ha scritto che sia io che mio marito siamo stati assolti perché prescritti. Non è vero: siamo stati prosciolti. È diverso.

La pena poteva arrivare anche all’ergastolo. 

È stata una vicenda surreale. Ho rischiato l’ergastolo al pari dei terroristi o degli stragisti. Ma come ho detto molte volte bisogna saper trasformare le sfide più grandi in opportunità. Io mi sono rimessa in gioco e mi sono reinventata una vita a 50 anni. E spero che la mia storia serva per riflettere.

In che senso?

In Italia, quando i tribunali  si sono occupati di vicende giudiziarie su argomenti scientifici non hanno fatto belle figure. Noi ricercatori ci occupiamo di cose complicate, non sono facili da capire per chi non è del settore.

Per esempio?

Basta pensare al caso Stamina, a quello sulla correlazione vaccini – autismo fino a quello della Xylella: quando non vengono consultati degli specialisti si rischia di prendere delle enormi cantonate. Stravolgendo la vita di persone innocenti.



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