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Perché il ministro Calenda può sviluppare anche la cyber security

Perché il ministro dello Sviluppo economico dovrebbe occuparsi di cyber-security?

Eviterò la risposta ovvia che lo sviluppo economico ha fra le sue competenze il mondo delle comunicazioni, che è il terreno di elezione naturale del mondo cyber, per ricercare altri aspetti forse meno evidenti ma non per questo meno importanti.

In primo luogo partirei dalla costatazione che lo sviluppo economico, avendo fra le proprie prerogative il settore energetico, ha competenza sulle principali infrastrutture critiche del paese; infrastrutture che hanno visto negli anni un crescente ruolo delle tecnologie cyber che da semplici sistemi ancillari sono divenute elementi essenziali del business. Garantire il corretto funzionamento dei sistemi energetici del Paese passa, pertanto, da un’adeguata comprensione della loro dimensione cyber, e della conseguente necessità di innalzarne il livello di sicurezza, anche alla luce di episodi quale il black-out in Ucraina del dicembre 2015 provocato da un attacco cyber. I nostri operatori stanno agendo molto bene, hanno però necessità di un quadro di riferimento e di raccordo per rendere efficaci ed efficienti i loro investimenti e dare loro quegli elementi che gli consentono di operare sui tavoli internazionali con maggior incisività.

Avere infrastrutture sicure, nell’accezione più ampia del termine, e con riferimento sia al punto di vista fisico che cyber, è un prerequisito sempre più necessario per attrarre investimenti che vedono nella presenza, e soprattutto nella continuità operativa delle diverse infrastrutture, una delle variabili maggiormente sensibili per la localizzazione dei siti produttivi. In questo quadro la dimensione cyber accresce la flessibilità delle diverse infrastrutture consentendo loro di erogare servizi con elevata flessibilità ed elevato livello di personalizzazione. Inoltre il cyber è in grado anche di supplire limitazioni delle infrastrutture fisiche, purché adeguatamente potenziato e garantito, consentendo con investimenti di dimensione e orizzonti temporali decisamente più contenuti rispetto a modifiche fisiche delle infrastrutture, di fornire servizi ad elevata qualità e quindi attrattivi.

L’altro aspetto rilevante è legato al rilancio del made in Italy che non può che passare per la salvaguardia e la protezione delle nostre eccellenze e, nello specifico, delle nostre Pmi. Il vantaggio competitivo che le nostre Pmi hanno rispetto a molti mercati è legato alla innovatività e alla qualità dei propri prodotti e dei propri processi, frutto di esperienza, competenze e innovazione sviluppati in anni di attività. La perdita, o meglio la “copia” (che come tale è molto più difficile da individuare e reprimere), di queste conoscenze a favore di realtà industriali che possono anche contare su un basso costo della manodopera, rischia di porre in condizioni di forte disagio il nostro tessuto produttivo.

Le singole Pmi non hanno, e probabilmente non potranno avere nel breve periodo, adeguate competenze e conoscenze per porsi autonomamente al riparo da questo rischio. Azioni di sistema che, consentendo di generalizzare le esperienze dei distretti e delle filiere, unitamente ad attività che favoriscano la presa di coscienza del problema, potrebbero garantire quei fattori di scala in grado di favorire soluzioni efficaci ed a costi accessibili.

Infine, perché non vedere nella cyber-security, e più in generale nel segmento della sicurezza, un settore industriale su cui puntare come Paese. Il mercato della (cyber) security si caratterizza, infatti, da un lato per una forte espansione con stime di crescita da qui al 2020 del 9,8 per cento annuo, passando dai 75 miliardi di dollari del 2015 a un valore atteso di 170 miliardi di dollari nel 2020, dall’altro è un settore a forte tasso di innovazione e di innovatività dovendo fronteggiare minacce sempre nuove e diverse.

In questo quadro l’Italia si caratterizza per una cultura, competenza e, sottolineerei, anche fantasia che hanno consentito a molte delle nostre aziende di assurgere a leader in diversi comparti del dominio sicurezza, anche in assenza di un piano organico di supporto e promozione a livello nazionale. La nostra capacità di innovare in questo segmento di mercato è talmente significativa che nelle ultime call europee H2020 sul tema security le entità italiane hanno raccolto fondi per circa 12 per cento del totale, a fronte di una raccolta negli altri settori inferiore al 10 per cento.

Diverse nazioni, ultima in ordine di tempo l’Australia con la costituzione del Cyber Security Growth Center, hanno individuato in questo settore la duplice valenza di tecnologia abilitante per la salvaguardia del proprio tessuto industriale e produttivo e, dall’altro, uno dei mercati su cui puntare per il prossimo futuro.

Egregio Signor ministro, perché l’Italia non sfrutta questa occasione?


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