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Nizza, Isis e i diversivi degli Stati europei

“Francia sotto attacco”, ha titolato a caratteri giustamente di scatola La Stampa riferendo della strage ordinata dal Califfato a Nizza, che ha rovinato con più di settanta morti la festa nazionale.

Eppure è un titolo riduttivo. Sotto attacco non è solo la Francia. Sotto attacco di un Califfato che pure è costretto a subire pesanti sconfitte militari nei territori dove era riuscito a insediarsi è tutta l’Europa. Che, a dispetto dell’Unione che si è data come nome politico, è tanto divisa da non rendersene davvero conto, capace solo di organizzare vertici più o meno improvvisati ma non di reagire davvero compatta all’assalto che la investe, a prescindere dal paese di turno che viene colpito: la Spagna, la Francia, il Belgio, poi ancora la Francia, in attesa o nel timore di nominare chissà chi altro, compresa naturalmente l’Italia. E ciò per fermarsi ai paesi dell’ormai fantomatica Unione, lasciando fuori la Gran Bretagna, che ha deciso di uscirne ma ha già pagato il suo tributo di sangue, a Londra, in anni troppo presto dimenticati.

L’Europa rischia purtroppo, con le sue divisioni e le sue incertezze, e l’ostinata precedenza data ai problemi economici e finanziari, di diventare fantomatica quanto il Califfato che si è proposto di intimidirla e batterla. Fra tutte, le divisioni più pericolose e suicide fra i paesi dell’Unione Europea sono quelle su come affrontare il problema dell’immigrazione. Che è il più drammaticamente confinante col terrorismo.

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Agli europei piacciano purtroppo, oltre agli omonimi campionati di calcio appena conclusi, solo quelli che chiamerei i diversivi. E in questo gli italiani sono davvero europei, forse ancora più europei degli altri. Basta riflettere su come e quanto riusciamo a dividerci, a insultarci, persino a intimidirci sul referendum costituzionale d’autunno, o di chissà quale altra stagione desiderano i cultori soliti del rinvio, o sulla riforma di una legge elettorale appena entrata in vigore e non ancora sperimentata, o sui confini precisi della maggioranza di governo per via della contestata presenza o aspirazione dell’odiato Denis Verdini a parteciparvi.

Ma questo problema di Verdini sembra appena risolto con un colpo, diciamo così, di genio o di teatro, secondo le migliori tradizioni nazionali. Poiché il senatore toscano, fuoriuscito con i suoi da Forza Italia per dare una mano al giovane corregionale e amico Matteo Renzi anche dopo il naufragio del cosiddetto Patto del Nazareno con Silvio Berlusconi, non riusciva ad entrare a tutti gli effetti nella maggioranza e nel governo per le solite crisi di nervi nel Pd, il vice ministro dell’Economia Enrico Zanetti, a suo tempo nominato perché segretario di quel ch’era rimasto della Scelta Civica fondata da Mario Monti, è entrato con tutta la sua seggiola nella navicella di Verdini chiamata Ala. Perfetto.

L’aggancio è stato tanto improvviso quanto riuscito. Ora vedremo chi, nel Pd, senza distinzione fra maggioranza renziana e minoranze sparse, si farà prendere dalle convulsioni, magari chiedendo le dimissioni di Zanetti da vice ministro, con tutti i suoi occhiali dalla montatura rossa esibita nei salotti televisivi che l’ospitano. Dimissioni che Zanetti naturalmente si guarderà bene dal dare spontaneamente, per cui i protestatari si faranno prendere da altre convulsioni reclamando da Renzi una rimozione che neppure la contestata riforma costituzionale gli permetterebbe.

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Le convulsioni politiche sono contagiose. Basta pensare a quelle vecchie e nuove dei grillini, destinate a crescere con la loro curva elettorale.

La nuova sindaca pentastellata di Roma, Virginia Raggi, non ha fatto in tempo a insediarsi con la sua sofferta giunta –sofferta per le pene che hanno accompagnato la scelta di assessori, collaboratori e quant’altri- che già quella considerata, a torto o a ragione, la sua principale rivale nel movimento, l’ex capogruppo della Camera Roberta Lombardi, ha abbandonato il direttorio di partito incaricato di assistere, o di vigilare, come sarebbe meglio dire, sul Campidoglio. Vigilare in tutti i sensi, anche facendo le multe, visto che ne sono previste, nei contratti o regolamenti del movimento grillino, a carico degli indisciplinati, chiamiamoli così.

Intanto i topi continuano a scorazzare fra la monnezza romana e, consapevoli evidentemente della caccia grossa ordinata personalmente dalla nuova sindaca, si sono fatti più aggressivi. Anziché fuggire, essi hanno cominciato a mordere. E chissà che non riescano a vincere la partita. A meno che Beppe Grillo in persona non partecipi alla caccia con qualche suo bastone o vaffa, come vengono chiamati con un diminutivo certi suoi incontenibili appelli.

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Non si risparmiano stranezze neppure i signori illustrissimi giudici della Corte Costituzionale. I quali hanno appena bacchettato i pensionati d’oro, d’argento e d’altro ancora, legittimando prelievi bocciati solo qualche anno fa, ed hanno dichiarato illegittime le misure contro le pensioni che le badanti vogliono procurarsi facendosi sposare dai pensionati sull’orlo della fossa, o quasi. E’ un lusso evidentemente che il pur malmesso sistema pensionistico italiano –tanto malmesso da non poter nemmeno rispettare le rivalutazioni imposte dai giudici costituzionali con altre sentenze- si può evidentemente permettere. Misteri non della fede, ma della Corte.

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Per finire, consentitemi un augurio sincero ai colleghi del Manifesto, di cui non condivido gran parte delle idee, ma che festeggiano giustamente il ritorno alla proprietà della loro combattiva testata con la fine di una lunga e penosa amministrazione coatta, durante la quale hanno rischiato di trovare editori sgraditi.

Per quanto stonata e antistorica, la voce del Manifesto, con quei suoi immaginifici e spesso perfidi titoli, mi sarebbe mancata se soppressa o conculcata.

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