Dobbiamo fare il contratto e dobbiamo chiedere a imprese e governo di incentivare gli investimenti privati e pubblici a favore dell’industria e dei settori digitale e manifatturiero, in particolare. E’ quanto ho sostenuto al convegno “Il lavoro e la rivoluzione digitale”, un importante momento di dibattito organizzato da una giovane deputata, Elisa Simoni, e a cui hanno preso parte, tra gli altri, il ministro Giuliano Poletti, l’onorevole Cesare Damiano e il giuslavorista Francesco Seghezzi.
Il concetto è quello che vado ripetendo da tempo: rinnovare il contratto dei metalmeccanici ed incentivare gli investimenti significa dare un concreto aiuto alla ripresa di cui necessita il Paese. I segnali finora registrati non depongono bene rispetto al fatturato e agli ordinativi delle imprese: l’Istat registra una flessione pari all’1,1 per cento negli incassi e al 2,8 per cento nella prenotazione delle forniture nel mese di maggio rispetto a quello di aprile. Rispetto al 2015 la differenza è ancor più evidente per le due voci suddette: meno 2,7 per cento e meno 4,2 per cento. Diminuiscono anche le esportazioni italiane verso i paesi extraeuropei con una contrazione del 3,9 per cento nel primo semestre del 2016; calano anche le importazioni dell’8,8 per cento nello stesso periodo. Il Centro studi di Confindustria segnala che la battuta d’arresto della produzione industriale comporterà una crescita del pil inferiore a quanto previsto, cioè un più 0,15 per cento rispetto allo 0,25 per cento finora indicato per il secondo trimestre. Ciò significa che sarà difficile raggiungere il tasso di crescita previsto dal governo dell’1,2 per cento, ma il Paese si attesterà probabilmente vicino ad un più 0,8 per cento.
Questa tendenza viene anche confermata da altre importanti istituzioni nazionali e internazionali come la Banca d’Italia e il Fondo monetario internazionale. Come reagire? L’ho indicato a quel convegno tenuto in Toscana a Figline Valdarno. Bisogna mettere in campo misure finalizzate al recupero del potere d’acquisto delle famiglie per rilanciare i consumi; occorre creare le condizioni per incentivare una consistente crescita degli investimenti pubblici e privati per riattivare la domanda interna.
Rinnovare i contratti, e quello dei metalmeccanici in particolare per la vasta platea di lavoratori a cui si rivolge, può aiutare a far crescere i consumi. Federmeccanica e Assistal, però, si ostinano a non volerlo fare, perché prediligono una riforma contrattuale in categoria basata sull’eliminazione di fatto del primo livello contrattuale. I vertici di Confindustria dovrebbero segnalare alla loro federazione di categoria che tanti contratti dell’industria si sono rinnovati, anche in questi giorni, attuando regole condivise e pregresse, in attesa che le realtà confederali si accordino su una riforma contrattuale.
Noi crediamo nello schema di rinnovo classico del contratto nazionale. E non è un’eresia confermarlo proprio ora che altre categorie hanno proceduto secondo questo schema, portando a casa importanti benefici dal punto di vista economico e normativo. Tutti hanno mantenuto il primo e il secondo livello, cioè il contratto nazionale e quello legato agli obiettivi aziendali.
Venerdì scorso proprio noi, seguendo il succitato schema, abbiamo, insieme alla Fim, rinnovato dal punto di vista normativo ed economico il contratto nazionale di durata triennale con le piccole e medie imprese di Confimi che danno lavoro a 80mila addetti. Desideriamo avere un analogo risultato con Unionmeccanica Confapi il cui Ccnl scade il 31 ottobre 2016: entro la fine di questo mese invieremo alla controparte un’apposita piattaforma rivendicativa e di conseguenza a settembre ci attendiamo di essere convocati per la discussione insieme a Fim e a Fiom.
Lo schema classico per noi significa rinnovare un contratto che mantenga i due livelli contrattuali, che stabilisca un salario minimo per tutti i lavoratori, che definisca la possibilità di poter rinnovare i contratti di secondo livello. Crediamo al doppio livello di contrattazione, nazionale e decentrato (aziendale, territoriale). Il primo livello dedicato all’incremento del potere d’acquisto delle retribuzioni. Il secondo livello diffuso e concentrato sulla redistribuzione della produttività.
In quest’ottica il contratto nazionale assume ancor di più valore perché ha il compito di aumentare il valore reale delle retribuzioni facendo riferimento a parametri generali. Il secondo livello di contrattazione, invece, potrebbe espandersi rispetto ai livelli attuali, facendo leva sugli sgravi relativi al reddito di produttività e a tutte quelle voci aggiuntive relative al welfare aziendale non cumulabili al reddito imponibile. Il salario minimo di garanzia, così com’è strutturato secondo lo schema di Federmeccanica-Assistal garantisce più le imprese che i lavoratori. In realtà non si vuole garantire un salario minimo, assicurato dal livello nazionale ed incrementabile con ulteriori aumenti da concordarsi al secondo livello.
Gli imprenditori metalmeccanici vogliono stabilire un salario minimo per i vari livelli di inquadramento professionale su cui innestare, ogni anno, i potenziali aumenti determinati dall’indice Ipca, rispetto all’andamento dell’inflazione dell’anno precedente. I vari livelli di salario minimo andrebbero poi comparati con i salari reali di ogni singolo lavoratore. Si tratta di salari che potrebbero rivelarsi superiori ai minimi contrattuali in essere a tutto il 31 dicembre 2015 a causa di vari motivi, ovvero perché ai minimi contrattuali si possono essere aggiunti nel tempo aumenti derivanti da superminimi individuali e collettivi, premi di produzione, importi retributivi fissi e scatti di anzianità. Insomma, gli eventuali aumenti del salario nominale derivanti dall’andamento dell’indice Ipca andrebbero nelle tasche di quei lavoratori i cui salari di fatto risultassero inferiori ai nuovi minimi. Noi siamo certi che il decentramento contrattuale ideato dalla controparte non riesca a far recuperare al 95 per cento dei lavoratori metalmeccanici l’inflazione finora registrata. E per questo dal mese d’aprile ci battiamo contro la proposta ideata da Federmeccanica e Assistal affinchè cambino posizione. Non ci siamo ancora riusciti, ma ce la faremo. Occorre, poi, fare investimenti privati e pubblici, nel digitale e nel manifatturiero. Il costo del ritardo digitale dell’Italia vale circa 2 punti di pil e un totale di circa 700mila posti di lavoro in meno. L’Italia, infatti, secondo le stime emerse durante il Forum dell’economia digitale organizzato da Confindustria Giovani, investe il 4,7 per cento del pil, contro il 6,4 per cento della media europea. Praticamente 25 miliardi di mancati investimenti l’anno.
Ecco perché è indifferibile investire in questa direzione lavorando sulle filiere e i distretti del digitale e sviluppando le infrastrutture, come la banda ultra larga. Gli investimenti pubblici possono far da traino a quelli privati se esiste una corretta politica industriale che fa scelte concrete di indirizzo, permettendo la crescita della produttività del lavoro, riducendo la pressione fiscale, combattendo la corruzione, favorendo l’innovazione, semplificando le norme amministrative. Il governo ci assicura che la politica industriale che emergerà dalla prossima Legge di stabilità determinerà più investimenti pubblici e privati, iniziando da un’operazione di rendicontazione degli incentivi e dei crediti fiscali già in essere. Subito dopo dovranno essere identificate le misure su cui concentrare le risorse. Per capire se l’esecutivo fa sul serio basterà leggere il progetto che il 5 agosto presenterà in Parlamento relativo allo sviluppo dell’industria 4.0. Dopo la pausa estiva tutto sarà più chiaro. Soprattutto per quanto riguarda il rinnovo del nostro Ccnl che va sbloccato. Ma il periodo di riposo agostano quest’anno assume un significato in più ed un conseguente impegno. Le ferie rimangono il momento per rilassarsi, riflettere e tornare al lavoro ancor più determinati. Ma nel mondo, ed anche nei Paesi europei, si fa sempre più consistente il demone del terrorismo che miete vittime inconsapevoli quasi ogni giorno. Ecco perché nei giorni estivi dovremo continuare a condurre una vita normale e a non farci sopraffare dall’angoscia. E’ indispensabile non farci stravolgere le nostre vite e non bisogna assolutamente cambiare abitudini, soprattutto nei giorni di vacanza che ci attendono. Il terrorismo che, con tutti gli altri problemi, sta contribuendo al rischio di far entrare l’Europa in stagnazione, si combatte anche conducendo una vita normale sia in vacanza che al lavoro. Credere nel futuro, partendo dal lavoro, significa continuare a ricercare per le nuove generazioni un posto nel mondo di domani. Rinnovare il contratto dei metalmeccanici non può che favorire questa ricerca.