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Qui Montenegro, dove gli italiani sono espulsi (e vincono i turchi)

Esiste un problema di credibilità e opportunità per le aziende italiane (e per la stessa Ue) in alcuni settori dei Balcani? Se in Serbia e Albania, ad esempio, i marchi tricolore riescono ad imporre la propria qualità sui concorrenti con buoni risultati oggettivi, in Montenegro un sistema di clientele e di assenza totale di trasparenza mette a repentaglio gli investimenti italiani, con il governo di Milo Djukanovic che preferisce offrire una corsia preferenziale a realtà imprenditoriali turche.

Nulla da obiettare se solo si trattasse di scelte che attengono la sfera personale di singole imprese. Il nodo però è che siamo in presenza di contratti, di diritto internazionale, di accordi industriali con Stati che puntano ad entrare in Ue, che fanno da contraltare al modus operandi del premier e, stando a ciò che scrive certa stampa montenegrina, ad una ristrettissima cerchia di familiari ed amici poco attenti alla legge e alla regolarità delle elezioni politiche. Lo sostiene da tempo, tra gli altri, anche Transparency International che negli ultimi 24 mesi ha sollevato ben 842 casi di irregolarità elettorali in Montenegro rivelando uno scarso impegno del governo per la democrazia e per il contrasto alla corruzione, passando per un’inchiesta della BBC sulla criminalità organizzata locale e il tentativo di adesione all’Unione europea.

Dieci anni fa agli
investitori internazionali il numero uno della politica montenegrina, quel Djukanovic condannato dalle procure di Napoli e Bari per contrabbando internazionale di sigarette ma salvato dall’immunità diplomatica, prometteva un Paese libero dai lacci della burocrazia e aperto ad accogliere nuove opportunità di business diversificato. La realtà, due lustri dopo, è che colossi come il proprietario di Louis Vuitton, Bernard Arnault e top banchieri di investimento come Rothschild, stanno tentando disperatamente di liberarsi delle azioni che posseggono in realtà montenegrine.
In tre noti casi di aziende truffate dallo Stato e poi “sorpassate” da altre concorrenti grazie ad un mancato rispetto di leggi e norme, ovvero l’italiana A2A, la cipriota Ceac e l’olandese Msnn, sono curiosamente presenti, direttamente o indirettamente, soggetti turchi. Che in alcuni casi, come l’acquisto dell’acciaieria Zhelezari, hanno avuto la meglio per un solo milione di euro, portandosi a casa una fabbrica di peso su cui però erano stati altri ad investire anni prima, per ristrutturazione e miglioramento di sistemi e mezzi.

Si sono moltiplicate, anche dopo l’omicidio del direttore del quotidiano Dan Duško Jovanović, le voci secondo cui l’avversione agli investitori europei da parte del Montenegro, prende vita anche grazie al parallelo e poco chiaro rapporto tra l’entourage di Djukanovic e aziende turche, su cui nessuno ha fatto luce sino ad oggi. Direttamente o indirettamente, i turchi già controllano almeno un quarto dell’economia dei paesi balcanici.
Oltre alle due maggiori imprese metallurgiche si sono aggiudicati anche il più grande terminal container del paese nel porto di Bar (e quindi il controllo del flusso di merci attraverso l’Adriatico), il Montenegro Stock Exchange, e molte infrastrutture legate al turismo.

Il vettore Turkish Airlines è stato a lungo la compagnia aerea preferita in Montenegro, e dietro le quinte si è proceduto a svilire il mercato per altre compagnie aeree escluse dagli aeroporti del paese. Possiedono anche il più grande centro commerciale del paese, The Mall Montenegro, e hanno ottenuto la maggior parte dei grandi appalti pubblici per la costruzione di infrastrutture e la ricostruzione di ciò che la guerra nei Balcani aveva lasciato sul terreno.
Altro capitolo interessante è il monopolio sul gioco d’azzardo: a soggetti turchi appartengono i tre casinò nelle città turistiche di Montenegro mentre l’ultima indiscrezione proveniente da oltre Adriatico riporta che Montenegro e Turchia hanno in programma entro l’anno di firmare un accordo di libero scambio, vale a dire l’importazione esente da dazio di merci turche in territorio montenegrino, in tandem con la costruzione di una moschea (la prima di una lunga serie).

Due quesiti su tutti: come armonizzare quell’accordo di libero scambio tra un paese extra Ue e uno che ne vuole far parte? E ancora: sicuri che il Montenegro sia il candidato ideale per far parte della grande famiglia della Nato?

twitter@FDepalo

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