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Come sono oggi i rapporti tra Russia e Israele

Il nuovo rapporto per lo scambio di dati di intelligence che si era instaurato tra Mosca e Gerusalemme nell’aprile scorso è ormai in pericolo.
Il segno più evidente di questa crisi bilaterale  lo vediamo nella blanda reazione alle proteste israeliane riguardanti le vendite, o i trasferimenti a Hezb’ollah, da parte dei russi, di materiale militare, spesso evoluto.

La polemica si è rinfocolata anche nell’ultimo contatto telefonico tra Netanyahu e Putin, lo scorso sabato 23 luglio. Tra l’altro, durante lo scambio tra i due leader si è discusso di  un altro tema molto sensibile, l’entrata nello spazio aereo israeliano del Golan di un UAV (unmanned aerial vehicle) direttamente dalla Siria. L’UAV doveva fotografare alcune attrezzature e operazioni speciali di Gerusalemme in quell’area. Ben tre missili di Israele, lanciati da un F-16, non sono riusciti a colpire l’UAV, che è ritornato intatto in Siria. La Russia lo ha segnalato sui suoi radar, naturalmente, ma non ha fatto nulla per segnalarlo ad altri  o per colpirlo da sola. Ovvio: Mosca non ha nessun interesse a perdere l’Iran per Israele.

Stabile alleato negli equilibri petroliferi, che ora Teheran spinge al rialzo le vendite dopo la firma del JCPOA, efficace antemurale contro l’Islam sunnita, quasi integralmente schierato con gli Usa, l’Iran è il punto fermo di Mosca nel Grande Medio Oriente e non potrebbe essere diversamente.
Teheran è infatti molto utile alla Russia in Siria, dato che è l’inevitabile protettore primario di Bashar al-Assad;  e comunque Mosca non ha nessun motivo di modificare gli equilibri bellici interni alla Siria e al Medio Oriente durante la guerra contro il DaeshIsis, che ha stabilito proprio l’egemonia della Russia nell’area. Egemonia alla quale, secondo la presidenza russa, non si può sottrarre nemmeno Israele, né come partner, né come satellite, dopo che il disastro geopolitico generato da Barack Obama ha lasciato il Medio Oriente senza nessun player globale, a parte appunto la Russia.

La Turchia si allontana dalla Nato e dagli Usa dopo il golpe, l’Ue paga Ankara per farsi prendere in giro sui migranti, l’Arabia Saudita tratta con Mosca in funzione di un suo allentamento dall’Iran, l’Iraq si rivolge alla Russia dopo il recente vuoto di potere: un successo strategico di Mosca su tutta la linea.

Ma Israele deve e può avere qualche altro partner affidabile e stabile in Medio Oriente, ora che gli Usa non sono più presenti nell’area, o come ” vecchi compari” dei sauditi o come idealistici organizzatori di “lotte di liberazione” dai soliti “tiranni”.

Il drone, naturalmente, è in primo luogo il segnale della potenza tecnologica di Hezb’ollah nei confronti di Israele, se attaccato.

Chi ha dato la tecnologia per gli UAV al “partito di Dio”? La Russia? L’Iran, che ha un parco-droni molto vasto ed evoluto, soprattutto nel settore dei droni armati a medio-lungo raggio? O sono tecnologie rubate agli avversari, come spesso accade durante le ormai numerose “piccole guerre” del Medio Oriente? Non lo sappiamo, ma ora Israele sa che Hezb’ollah può arrivare con un UAV sul suo territorio e colpirlo. E soprattutto sa che Mosca non muoverà un dito contro il suo alleato iranian-libanese, almeno fino a quando Gerusalemme non si legherà stabilmente al sistema e agli interessi militari russi nell’area, che non coincidono comunque con quelli israeliani, comunque vadano le attuali  trattative.

A Israele, in fondo, è stato ricordato che il Golan è un fronte aperto e che l’interesse dello stato ebraico a una Siria frantumata e in guerra non può durare in eterno.
Ancora, in altri termini, l’UAV del gruppo libanese vuol dire che Israele non può pensare, in tempi brevi, di inglobare le alture del Golan che, pure, sono essenziali alla sua difesa da Nord.

Fra l’altro, dopo il golpe di Erdogan, successivo al tentativo di rivolta delle forze armate turche, vi sono già “ufficiali di collegamento” turchi presso il governo di Assad a Damasco. Il che implica che Ankara può cessare ogni azione militare, diretta o indiretta, contro l’Esercito arabo siriano di Bashar, ma solo in cambio di un’assoluta interdizione per un nuovo Kurdistan che potrebbe nascere con il tacito sostegno degli Usa, sostegno accordato peraltro anche da Israele. Peraltro, senza l’aiuto della Turchia, nessun attore geopolitico sunnita può pensare di sostenere il jihad contro gli alawiti di Assad e i suoi alleati.

Se, quindi, la Siria si stabilizzerà, l’Arabia Saudita non avrà più i suoi proxies jihadisti a combattere l’Iran per conto di Riyadh, magari sul territorio siriano, come fino a oggi, la Turchia poi potrebbe non avere più il “fastidio” dello Stato curdo ai suoi confini, e magari dentro, cosa che non vogliono nemmeno Iraq e Iran. Infine Israele dovrebbe fare i conti con la questione del Golan, senza alcun alleato affidabile (gli Usa o la ridicola Europa) e solo con le proprie forze che, al quel punto, dovrebbero coprire, simultaneamente, un attacco iraniano, siriano, di Hezbollah, magari turco o iraqeno, senza il sostegno degli Stati Uniti, ma con l’olimpico distacco della Russia. Che farebbe, alla fine, da mediatore. Scontando la perdita di ruolo del Paese perdente.

Le armi russe che non vanno direttamente ad Assad si dirigono infatti a Hezbollah, e oggi il gruppo libanese e iraniano ha già ricostituito, sempre con armi russe, almeno un battaglione, che già si addestra nel Libano meridionale.

Cosa potrebbe fare, a questo punto, Israele? Secondo noi, lo Stato Ebraico potrebbe: mantenere le sue buone relazioni con Mosca, che hanno anche un ruolo informativo; evitare, strategicamente, il nesso tra attacco da Est e da Nord, il che potrebbe comunque avvenire data la presenza oggi di militanti palestinesi sunniti tra le forze di Bashar al-Assad; ricostruire una rete di sostegno internazionale con India, Cina e altri Paesi dello SCO centroasiatico, per controbilanciare l’eventuale appoggio di Mosca a nuovi attori mediorientali sciiti o sunniti. Ma, in ogni caso, occorrerà vedere la nuova politica estera della Casa Bianca e, in particolare, il tasso di pericolosità strategica della follia antisemita nella ormai sedicente classe dirigente  europea.

Il nuovo rapporto tra Turchia e Federazione Russa, poi, è stato indicato dalla segnalazione russa ad Ankara, prima del suo inizio, del golpe delle forze armate turche. La Russia vuole una Turchia potente che non la faccia isolare nel solo fronte sciita, che sia unita e soprattutto sempre meno legata alla Nato, obiettivo strategico primario per Putin.
Il golpe in Turchia è stato quindi, una benedizione geopolitica per la Russia.

Erdogan è oggi furioso con gli Usa, che proteggono il leader politico-religioso Fathihullah Gulen, che Erdogan  accusa di essere l’anima del golpe militare, e c’è ben poco che Washington possa fare in Medio Oriente senza riappacificarsi con Ankara.

Peraltro, la Nato, e anche questo è un risultato di Putin, è di fatto stata disattivata, nel Grande Medio Oriente.
O diverrà l’ombrello organizzativo per operazioni “dei volenterosi”, come una Onu qualsiasi, oppure un gineceo per produrre dichiarazioni umanitarie e pacifiste, o ancora uno strumento di gestione delle crisi locali del nesso Usa-Germania o, più spesso, Usa-Gran Bretagna. E l’articolo quinto del Trattato dell’Atlantico del Nord, quello sulla responsabilità comune, andrà in soffitta, come peraltro è già silenziosamente accaduto.

Cosa fare, quindi? Organizzare subito una conferenza per il Medio Oriente che sancisca un ruolo per Mosca e permetta ai Paesi dell’area, naturalmente anche Israele, di trattare una parziale smilitarizzazione delle aree tradizionali di scontro, avendo mediatori affidabili. Come fu ai tempi delle Conferenza di Madrid del 1991. E come oggi potrebbe accadere in una Conferenza di Roma in cui si stabilisse che Israele ha pieno diritto di mantenere e difendere i suoi attuali confini; e che la sicurezza delle zone di confine è demandata a strutture militari-cuscinetto, formate da forze russe, cinesi, americane, tedesche, italiane e centro-asiatiche.

E che, infine, si dovrebbe preparare una Conferenza di Pace tra Israele e la Lega Araba, a nome e per conto dei suoi membri, mediata da Mosca e, se lo vuole o lo può, dagli Usa.

Per gli europei, naturalmente, niente da fare.

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