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Come e perché la storia italiana consiglia di cambiare l’Italicum

Man mano che si avvicina la data del (o dei?) referendum costituzionale viene sempre più evidenziandosi il groviglio tra referendum e legge elettorale. Sebbene non vi sia una connessione formale tra l’uno e l’altro, infatti, è di tutta evidenza che la contestualità seppur assente in via formale e di principio di fatto è una contestualità politica come risulta da tutte le dichiarazioni e le analisi registrate in riferimento ad essa.

La connessione ha posto in evidenza il fatto che sono in gioco due linee sostanzialmente alternative e non solo politicamente: la vocazione maggioritaria da un lato e la cultura della coalizione dall’altro. E non si tratta di evenienza del tutto nuova sol che si consideri l’intera storia repubblicana a partire proprio dalla costituzione vigente.

Ragioni storiche prima ancora che istituzionali ed ancor meno ragioni giuridiche sono infatti alla base del patto costituzionale originario. Questo – come è infatti noto – vede nell’impianto complessivamente ispirato alla cultura della coalizione l’impianto posto alla base della difficile convivenza di forze politiche per un verso convergenti con l’antifascismo e per altro verso tese alla garanzia (ritenuta possibile) della propria identità.

Il patto costituzionale originario – di conseguenza – diede vita alle soluzioni complessive contenute nella costituzione vigente in virtù del prevalere nettissimo della cultura della coalizione. Ne conseguì una scelta istituzionale a favore della rappresentanza, lasciando la questione della governabilità al fluire della vita politica anche contingente.

Dall’inizio della vita costituzionale italiana repubblicana, pertanto, si è assistito ad una continua ricerca dell’equilibrio tra rappresentanza e governabilità, senza che questo equilibrio giungesse ad una prevalenza per così dire assoluta dell’una o dell’altra.

Occorre peraltro aver presente che ai fini della ricerca dell’equilibrio la situazione è stata caratterizzata dal prevalere della cultura della coalizione dall’inizio della vita costituzionale repubblicana fino alla conclusione storica dell’esperienza sovietica (1991) laddove è dal 1991 e proprio con un referendum elettorale (quello erroneamente ritenuto minore della preferenza unica) che si passa ad una ricerca dell’equilibrio fondata sul primato della governabilità rispetto al primato della rappresentanza.

Allorché infatti nel 1953 si cercò una soluzione maggioritaria con la cosiddetta “legge truffa”, rimase il principio costituzionale della cultura della coalizione, quasi a testimoniare che di equilibrio si trattava ma pur sempre di un equilibrio che partiva dalla cultura della coalizione a quel tempo incarnato dal partito della Democrazia cristiana che veleggiava abbondantemente oltre il consenso del quaranta per cento del voto popolare.

Tutto il sistema istituzionale era infatti fondato sul principio della coalizione: dalla elezione del sindaco a quella del presidente del consiglio dei ministri, tutte le cariche istituzionali avevano nel primato delle assemblee rappresentative il punto di snodo dell’equilibrio. Ne conseguiva una sorta di normalità nel constatare la stabilità delle assemblee elettive da un lato e il frequente mutamento degli esecutivi dall’altro.

E’ pertanto dal 1991 che si passa quasi impercettibilmente a considerare la governabilità quale elemento prioritario per la ricerca dell’equilibrio costituzionale. La scomparsa dei partiti politici che in vario modo avevano dato vita ad un equilibrio fondato sulla prevalenza delle cultura della coalizione avviene pertanto nel corso degli anni noti come gli Anni di Mani Pulite. L’ultimo tentativo di riforma elettorale ed istituzionale insieme fu compiuto nella bicamerale De Mita-Iotti, travolta proprio da Mani Pulite.

Dall’elezione diretta dei sindaco in poi, pertanto, è un susseguirsi incalzante del primato della governabilità rispetto alla cultura della coalizione; elezione diretta del presidente della provincie e del presidente della regione stanno a segnare gli anni sia della bicamerale D’Alema sia ora dell’Italicum. Siamo pertanto in una fase costituzionale che ha rovesciato l’originario impianto costituzionale. Ed è in questa fase che trova inizio molto significativo la cosiddetta “vocazione maggioritaria”. La legge elettorale, di conseguenza, deve trovare proprio in questa vocazione la sua fonte culturale prima ancora che giuridica.

In questo senso l’Italicum fa giungere a conclusione un processo iniziato venticinque anni fa ma conserva un nodo massiccio: la perdurante forma parlamentare di governo. La vocazione maggioritaria trova infatti nel premio di maggioranza della lista unica il punto di emersione della elezione diretta delle cariche monocratiche locali ma prova nella ribadita forma parlamentare di governo il nodo costituzionale e politico di fondo.

Quest’ultima, infatti, trova proprio nella cultura della coalizione il proprio fondamento laddove il premio di maggioranza anche formalmente sganciato dalla coalizione incontra il principio della governabilità quale valore tendenzialmente assoluto perché non compatibile proprio con la cultura della coalizione. Di qui il groviglio quasi inestricabile tra la riforma costituzionale pur sempre fondata sulla conservazione della forma parlamentare di governo e l’Italicum fondato su un principio assoluto della governabilità di ispirazione sostanzialmente presidenziale. Non si tratta di una contraddizione per così dire sanabile con emendamenti occasionali. Al contrario occorre una riflessione molto più profonda proprio tra la traduzione presidenziale della vocazione maggioritaria il significato identitario rigoroso si emendamenti tesi alla cultura della coalizione. Per i lunghi anni della cosiddetta prima repubblica l’equilibrio poggiò sul Partito della democrazia cristiana che aveva nella cultura della coalizione il proprio fondamento ideale. In questo nuovo tempo costituzionali non è un alcun modo chiaro se si intende sciogliere il nodo dell’Italicum nel senso di un nuovo equilibrio o no. L’intreccio tra riforma costituzionale (anche a prescindere dall’improbabile “spacchettamento” dei quesiti referendari) e legge elettorale, pertanto,va affrontato con approfondimenti storici e culturali prima che con accorgimenti giuridici.


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