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Come e perché l’Intelligence Usa punta il dito sulla Russia per il cyber attacco contro i Democratici

Dalla serata di martedì Hillary Clinton è la candidata del Partito Democratico americano per la corsa alla Casa Bianca: investita ufficialmente dalla dichiarazione di voto di Bernie Sanders alla convention di Philadelphia; quando è stato il suo turno, il senatore del Vermont, sfidante di Hillary alle primarie, osannato dai suoi sostenitori (hanno invece contestato ogni singolo endorsement alla candidata) ha chiesto la proclamazione per acclamazione e la sospensione della conta dei voti. L’appuntamento più importante per il partito è stato però macchiato in anticipo da una storiaccia su mail trafugate e poi diffuse: anche a questa si legano le contestazioni dei Sanderistas.

I server del Comitato Nazionale dei Democratici (Dnc, è l’acronimo in inglese) sono stati violati da un attacco informatico che ha sottratto una rilevante quantità di mail e comunicazioni private, con dettagli anche sensibili sui sostenitori (come i numeri delle carte di credito dei donatori e i loro documenti), che poi sono state messe online da Wikileaks: tra queste, alcune conversazioni tra funzionari del partito che si muovevano contro Sanders invece di essere super partes; la vicenda ha rafforzato le tesi cospirative di alcune fette dei sostenitori del senatore progressista, che pensano che la vittoria di Clinton alle primarie sia stata frutto di brogli.

LE INFORMAZIONI DELL’INTELLIGENCE

Proprio mentre iniziavano i primi interventi di giornata alla convention democratica, il New York Times è uscito con un articolo in cui alcune fonti tra gli uomini dell’intelligence confermavano ai giornalisti Eric Schmitt e David Sanger (due importanti firme del quotidiano che si occupano di sicurezza nazionale) che in questo momento hanno “alta sicurezza” sul fatto che a violare i server del Dnc siano stati hacker russi collegati con le operazioni clandestine del governo di Mosca. In precedenza sia la società CorwdStrike, ingaggiata dai democratici per ripulire i computer attaccati, sia uno dei top manager della campagna di “Hillary 2016” Robby Mook, avevano alzato i sospetti sui russi, ma ora la cosa fa un balzo in avanti, visto che l’intelligence avrebbe indagato e comunicato i risultati allo Studio Ovale.

IL QUADRO GENERALE

Il quadro in cui tutto questo si inserisce ha scenari interni ed esterni complicati: anche se c’è una sorta di collaborazione per cercare di stabilizzare la drammatica crisi in Siria, Russia e Stati Uniti sono formalmente ai ferri corti da un paio d’anni, dopo l’avventura crimeana di Vladimir Putin, ed è noto che Donald Trump, lo sfidante repubblicano di Clinton, ha sviluppato nel tempo collegamenti reciproci e interessi economici in Russia. Tutto nel momento più delicato per Washington, quello del cambio della leadership. Mercoledì, Trump ha detto guardando diretto nella telecamera: ehi, Russia, se ci stai ascoltando, ti prego cerca il modo di trovare le 30 mila mail mancati (le parole non sono esatti, ma quasi, e rendono il modo comunicativo con cui il candidato repubblicano s’è espresso, riferendosi alla vicenda delle mail inviate da Clinton utilizzando un server personale per passare messaggi protetti ai tempi in cui era segretario di Stato).

FORSE UNO SPIONAGGIO DI “ROUTINE”

La situazione rischia di infiammare ancora il clima elettorale, ma per Trump il caos è linfa vitale, perché più adotta comportamenti radicali e strani e più guadagna consensi; se un paese straniero è dietro all’attacco al Dnc, ha detto, questo rende chiaro quanto poco l’amministrazione americana è rispettata nel mondo. E questo nonostante i funzionari di Washington abbiano cercato di congelare la situazione, specificando al NYTimes di non avere certezze se l’operazione contro il Dnc sia stata un cyber-spionaggio di “routine”, “del genere [di quelle] che anche gli Stati Uniti conducono in tutto il mondo” specificano i giornalisti in un inciso, oppure sia parte di un piano pensato per cercare di manipolare le elezioni americane. Julian Assange, il fondatore di Wikileaks, ha fugato il dubbio, ma riguarda solo la sua parte: ha messo in chiaro che mettendo online le mail sperava di danneggiare le possibilità di vincere di Hillary. Come i documenti siano arrivati a Assange non è chiaro, anche se una parte era già stato dato alla stampa da un hacker che si fa chiamare Guccifer 2.0, il quale si dichiara anche lui romeno come il primo Guccifer (hacker storico), ma invece pare essere russo, come anche il sito specializzato ThreatConnect ha dimostrato; “Gli investigatori ritengono sia un agente del GRU, il servizio di intelligence militare della Russia” scrive il Nyt.

ORA, CHE FARE?

In questo momento il punto è che che mosse adotterà Washington? Ammesso che, come pare dalla riunione settimanale della cyber-intelligence di cui i funzionari hanno parlato con il giornale newyorchese, ci si avvii verso prove definitive sul fatto che il furto di dati al Dnc è stato un’operazione guidata dalla Russia, Barack Obama si trova davanti il grande dilemma se accusare Mosca o meno. Non si tratta di una cosa da poco conto denunciare pubblicamente un paese per aver cercato di influenzare le decisioni politiche interne in un altro: è una grossa questione di sicurezza nazionale. Già in passato Obama aveva sviato il problema non identificando mai i servizi segreti di Russia e Cina, paesi con cui gli Stati Uniti hanno “relazioni complesse”, come gli autori di attacchi informatici subiti da strutture governative americane, anche se i collegamenti tra i gruppi di hacker e queste nazioni erano abbastanza delineati; lo ha fatto solo con la Corea del Nord, nel caso degli attacchi alla Sony nel 2014 (ma con Pyongyang è più facile, perché è il nemico di tutti). Nel frattempo, martedì la consigliere per l’antiterrorismo della Casa Bianca, Lisa Monaco, ha annunciato l’intenzione di Washington di creare delle sanzioni apposite per colpire i responsabili di attacchi informatici, senza mai citare la vicenda del Comitato dem; ma è difficile credere che il sommarsi dell’hack al Dnc e la nuova legislazione sia solo una casualità temporale.

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