Rabbia. Risentimento. Disgusto per la politica. Ansia e apprensione per il futuro. Voglia di cambiare. Bisogno di mutamenti forti, decisi, netti. E poi il nuovo collante: il dito puntato contro tutte le élite; contro i poteri forti (anche local) che hanno bloccato, fermato, ma, soprattutto, sfruttato e saccheggiato a proprio vantaggio il Mezzogiorno. Il Sud è sempre più una polveriera.
L’avviso ai naviganti arriva netto e chiaro. Limpido è il messaggio: il tempo sta per scadere e il livello di esasperazione è al calor bianco. L’emergenza Sud non è solo economica e sociale, assume i tratti di un cambio di paradigma politico: un processo di radicalizzazione strutturato e consolidato, che trova nella distanza e nell’essere altro rispetto alle vecchie classi dirigenti locali e regionali il collante dell’identificazione, il mastice che consolida e incanala le diverse pulsioni sociali e politiche. Il disastro ferroviario avvenuto sul binario unico della linea Bari-Nord, ha riacceso l’attenzione e il dibattito (almeno mediale) sul Mezzogiorno.
In questi tristi giorni si sono sovrapposte emotivamente due immagini: da un lato, una tragedia inqualificabile e ingiustificabile, che trova le sue ragioni più profonde non nell’errore umano, ma nell’immobilismo, nella sciatteria, nell’ingordigia di classi dirigenti e burocrazie che non riescono a realizzare gli indispensabili progetti di sviluppo e ammodernamento del Paese, anche quando i fondi ci sono da quasi dieci anni. Dall’altra parte abbiamo assistito alla generosità, all’impeto delle persone, che sono accorse a donare il sangue. Un impulso che illustra non solo il richiamo emotivo dell’emergenza, la generosità contro il cinismo imperante, ma porta alla luce anche la reattività di un tessuto sociale, la forza pulsante che arde sotto le ceneri. Se la rabbia è il principale tratto emotivo del Paese, al Sud trova espressioni espanse in intensità e densità, con quasi dieci punti oltre la media nazionale (dal 39% del dato medio al 48% nelle regioni del Mezzogiorno). Una rabbia che colpisce, in primis, le persone più adulte, i genitori e i nonni, e fa capolino tra i giovani, insieme ai sentimenti di tristezza e paura.
La voglia di cambiare tutto è il fil rouge che unisce le diverse pulsioni. La crisi economica, occupazionale e sociale, il vuoto di prospettive che aleggia nelle città e nelle campagne del Sud, incanala le persone verso posizioni politiche radicalizzate. La pulsione al cambiamento, al superamento di soluzioni riformistiche e la preferenza per proposte di mutamento netto, è guidata, al Sud, dai Millennials (56% afferma di preferire la rivoluzione, ma anche tra gli adulti il 46% punta nella medesima direzione) ed è alimentata dall’ansia e dalla paura di fronte al futuro (il 45% dei giovani afferma di provare ansia per il proprio domani e il 32% dice di aver paura). Corrotti, mafie, ma anche tasse, poteri forti, burocrazie sono i nemici da abbattere. La rabbia non si scarica sugli altri, sull’immigrato, sul nemico che arriva da lontano, ma assume toni e contenuti più politici. Cresce (specie tra i giovani) una presa di coscienza politica, un fiume carsico, alimentato da vari corsi d’acqua minori, che conduce l’acqua in una direzione ben precisa: quella che sfocia nell’identificazione del nuovo, come prodotto della sintesi di cambiamento e onestà.
Il collante politico, che unisce persone provenienti da tradizioni, storie e pulsioni sociali e politiche differenti, è sempre più unidirezionale: licenziare (appena ne capita l’occasione) le vecchie classi dirigenti. L’obiettivo è semplice: mettere il potere in nuove mani, darlo a chi appare in grado di garantire la rottamazione o il cambio radicale rispetto alle vecchie élite. Il mutamento di prospettiva non è, ovviamente, totalizzante, ma coinvolge ampie parti dell’elettorato del mezzogiorno e può avere effetti politici dirompenti nel futuro prossimo.