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Tutti gli uomini di Trump in lizza per la vicepresidenza

A una settimana dalla Convention repubblicana, che si farà a Cleveland, nell’Ohio, dal 18 al 21 luglio, s’intensificano ipotesi e indiscrezioni sul vice che Donald Trump sceglierà: una donna, l’esponente di una minoranza, un politico tradizionale, spesso le voci sono “ballons d’essai” o suggerimenti, oppure vere e proprie autopromozioni o ancora semplici operazioni pubblicitarie.

Potrebbe appartenere a quest’ultima categoria, ma potrebbe pure rivelarsi azzeccata, l’indicazione di un ex generale ed ex capo dell’intelligence militare degli Stati Uniti: Michael Flynn, alla guida della Dia dal 2012 al ‘14, viene indicato al Washington Post come possibile scelta da fonti vicine al processo di selezione. Altri potenziali vice sono, fra i tanti citati, l’ex speaker della Camera Newt Gingrich, le cui quotazioni sono parse crescenti nei giorni scorsi, e i governatori dell’Indiana Mike Pence e del New Jersey Chris Christie. Salvo, naturalmente, sorprese sempre possibili.

Nella storia americana, ci sono precedenti di candidati populisti che scelgono un militare come numero due: nel 1968 il segregazionista George Wallace e nel 1992 il miliardario Ross Perot. L’annuncio del vice dovrebbe arrivare a giorni e, al più tardi, alla Convention di Cleveland.

Il Wp, un giornale peraltro lontano da Trump, che lo ha addirittura bandito dalla sua campagna, ricorda che Flynn è registrato tra gli elettori democratici, ma che s’è più volte schierato contro le scelte di politica estera di Barack Obama: due anni fa venne sostituito alla Dia in odore di dissidi con i vertici del Pentagono. Da allora, l’ex generale s’è dedicato a coltivare rapporti con la Russia di Vladimir Putin (una simpatia che lo avvicina a Trump).

Ma a fare sospettare che il lancio del suo nome sia solo un’operazione pubblicitaria c’è il fatto che ha appena scritto un saggio sull’Islam radicale a quattro mani con Michael Ledeen, neocon coinvolto in molti misteri d’Italia. Il libro, “Field of Fight: How We Can Win the Global War Against Radical Islam and Its Allies”, uscirà in libreria domani.

“Trump trova in Flynn un partner di cui si fida, ma soprattutto gli piace l’immagine di un uomo d’affari e un generale che arrivano a Washington da outsider”, scriveva ieri il Wp, rilevando che lo showman conta molto sullo “star power” e sull’effetto sorpresa per catalizzare consensi, mentre è “piuttosto annoiato” dagli strateghi che gli consigliano un politico tradizionale.

Sull’Ansa, Alessandra Baldini osserva che Flynn non è certamente tradizionale e va d’accordo con Trump su vari punti di politica estera: oltre alla Russia, l’approccio da falco nella lotta all’Islam delineato nel libro scritto con Ledeen.

Il controverso storico e giornalista statunitense, oggi ricercatore alla Fondazione per la difesa delle democrazie, ha un discusso e controverso passato italiano: negli anni 80, viveva a Roma, ufficialmente come giornalista, ma per molti in odore di Cia. Lavorò allora sulla “pista bulgara” nel tentativo di Ali Agca di assassinare Giovanni Paolo Secondo e fu il traduttore della telefonata tra Ronald Reagan e Bettino Craxi nei giorni dell’Achille Lauro. Più tardi, venne anche coinvolto nel Nigergate, la bufala dell’uranio del Niger venduto a Saddam Hussein prima dell’invasione dell’Iraq.

(post tratto dal blog di Giampiero Gramaglia)



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