Buone notizie per lo Stato. Pessime per i cittadini. Secondo l’ultimo bollettino del dipartimento Finanze, del ministero dell’Economia, le entrate tributarie nei primi sei mesi dell’anno sono aumentate del 6,1 per cento: per un importo pari a 11,481 miliardi. In compenso il prelievo degli enti locali è leggermente diminuito, per un valore di 2,654. Vi ha contribuito la riduzione dell’Irap per poco più di 1 miliardo e di quasi altrettanto per Imu e Tasi. I provvedimenti tanti contestati dalla sinistra PD: jobs act e sgravi per la prima casa.
Il netto equivale a quasi 9 miliardi, pescati in più nelle tasche dei contribuenti. Che rischiano di raddoppiare, se il secondo e ultimo semestre sarà pari a quello appena trascorso. Il dato è paradossale. Il Pil cresce meno del dovuto, la deflazione gela l’andamento dei prezzi. Il convento, vale a dire l’economia nazionale, diventa sempre più povero. Ma il priore, ossia lo Stato centrale, si ingrassa, rischiando l’obesità. Non tragga in inganno le riduzioni a carico degli enti locali. Le minori entrate saranno comunque rimborsate a carico del bilancio dello Stato. Fermo restando il fatto che Irpef regionale e comunale producono un gettito aggiuntivo che supera il 10 per cento.
La verità è quindi che siamo stati costretti a lavorare esclusivamente per il fisco qualche settimana in più. Spostando in avanti la data del giorno che dovrebbe celebrare la festa della liberazione. Quello spartiacque che consente al singolo cittadino di produrre solo per sé e la propria famiglia. Il dato più sconvolgente è, comunque, il confronto con le previsioni fatte solo qualche mese fa dallo stesso Governo (aprile 2016).
Secondo il Documento di Economia e Finanza (il DEF), l’incremento del carico fiscale per l’intero 2016 doveva essere pari a 2,442 miliardi. Questo è almeno quanto si legge nel “tendenziale”, relativo al “Conto economico delle amministrazioni pubbliche”. Documento che, sulla scorta di queste indicazioni, ipotizzava un seppur piccola diminuzione della pressione fiscale: dal 43,5 al 42,8 per cento. Se invece i prossimi sei mesi confermeranno la tendenza del primo semestre si verificherà il contrario. Con un aumento della pressione fiscale che potrebbe salire di quasi 1 punto e mezzo. Un record assoluto in tutta l’Eurozona. Che farebbe impallidire la stessa Francia, finora in pole position. I cui servizi, tuttavia, non hanno alcunché a che vedere con il disastro italiano.
L’autunno si presenta, per tanto, denso d’incognite. Nella prossima “nota d’aggiornamento al DEF” il MEF dovrà, innanzitutto, chiarire questo piccolo mistero. Come mai nell’economia nazionale non cresce più quasi nulla, salvo il prelievo fiscale? Si è forse ricostituito un “tesoretto” pronto per essere utilizzato in vista della battaglia referendaria? Che, non a caso, si cerca di collocare all’indomani dell’approvazione, in prima lettura, della legge di stabilità.
Cattivi pensieri. Sta di fatto che la navicella governativa naviga tra Scilla e Cariddi. Da un lato deve rispondere alla Commissione europea, e rispettare le regole del fiscal compact. Dall’altro ai cittadini italiani, nella loro veste di elettori. Che non vedranno certo di buon grado il bollo ufficiale che li consacra come il popolo più tartassato di tutto l’Occidente.