Il prefetto Mario Morcone, responsabile dell’immigrazione presso il ministero dell’Interno ha lanciato una proposta per occupare i profughi in lavori socialmente utili che contiene alcune verità, perché la semplice assistenza produce effetti molto negativi, ma suscita anche molti interrogativi.
La stragrande maggioranza delle città italiane, dalle Alpi alla Sicilia, avrebbe bisogno di “lavori socialmente utili” per curare il verde, pulire le strade, garantire piccole manutenzioni, per non parlare dell’assistenza agli anziani. Sono lavori che gli italiani (in parte) rifiutano ma che spesso sono svolti da manodopera straniera già residente nel nostro paese. L’utilizzo di rifugiati per queste attività (che peraltro avrebbero carattere volontario) verrebbero pagate con retribuzione simboliche, godendo già gli interessati di vitto e alloggio, oppure si potrebbero erogare rimborsi spese destinati a ripagare l’assistenza. In questa ipotesi non dovrebbe esservi alcun conflitto né con gli italiani disoccupati né con gli stranieri che già lavorano.
Peraltro, il Prefetto Morcone rimuove curiosamente a priori la questione perché “io mi occupo di immigrati, degli italiani se ne dovrebbero occupare altri ministeri perché io sono solo un Prefetto”, ma un progetto di integrazione serio non può dimenticare che prima o poi si porrà (giustamente) per queste persone il passaggio dalla precarietà a una relativa normalità. Allora potrebbero nascere seri problemi perché la guerra tra poveri è uno dei fenomeni sociali più pericolosi per i potenziali riflessi politici. Per questo è essenziale, di fronte a un fenomeno che da emergenza temporanea è diventato strutturale, la cui dimensione è valutata nell’ordine di milioni di persone e la cui durata è imprevedibile, definire progetti realistici non forieri di tragiche illusioni, disporre di progetti concreti, finanziati in modo trasparente e che siano in grado di fornire soluzioni credibili per il futuro.
I nostri comuni lamentano condizioni finanziarie miserevoli e non è realistico, al di là delle eccezioni che meritano il giusto apprezzamento, affidare loro compiti che travalicano le loro oggettive possibilità. I conti dovranno pur essere fatti, pur partendo dalla premessa che oggi, con questi numeri si può ancora gestire la situazione, ma a precise condizioni. In primo luogo deve partire il processo di redistribuzione dei profughi tra tutti paesi dell’Unione europea sollevando Italia e Grecia da un fardello insostenibile. Ma bisogna anche fermare gli arrivi. Certo la fine della guerra in Libia e in Siria è l’obiettivo prioritario, ma lo diventerà a breve anche l’esigenza di costruire una “enclave” nell’Africa mediterranea che funzioni come centro di accoglienza e di smistamento dove vengano condotti tutti coloro che oggi sbarcano sulle nostre coste o siano soccorsi in mare. E’ stato fatto un accordo con Erdogan, perché l’Europa non dovrebbe porsi questo obiettivo? Infine, non bisogna sottovalutare l’impossibilità oggettiva di distinguere (come giustamente fa il Prefetto Morcone) tra i rifugiati, chi ha già presentato la richiesta di asilo e tutti gli altri che, a rigor di logica, dovrebbero essere riportati al loro paese di origine. Qualcosa al Viminale si sta muovendo ma la verità è che, al netto dei casi di sospetti terroristi, è complicato espellere anche chi commette reati. Sarebbe importante offrire accoglienza mirata a rifugiati portatori di esperienza e professionalità. Ma riusciremmo a offrire un lavoro normale a un insegnate di matematica senza perderci nel labirinto della burocrazia? Non esistono soluzioni facili a problemi difficili ma è possibile prevedere ragionevolmente le conseguenze a medio termine di fenomeni inattesi ma che, se non vengono governati con lucidità e con determinazione rischiano di produrre danni irrimediabili anche sul piano politico.