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Vi spiego tutti i fronti della battaglia ad Aleppo

isis

Ad Aleppo è in corso una furiosa battaglia. Essa è determinante per le forze governative più di quanto lo sia per gli insorti. Dalla conquista di Aleppo dipende infatti la possibilità di Assad di controllare l’intera Siria occidentale, di proteggere il territorio di Latakia, centro degli alawiti, e di impossessarsi di un obiettivo di alto valore simbolico, oltre che materiale, da far valere nei negoziati di Ginevra. Anche se perdessero Aleppo, la situazione per gli insorti non muterebbe radicalmente. Non sarebbero sconfitti. Dominano le aree rurali e desertiche, in cui continuerebbero la guerriglia anti-governativa. Dispongono di effettivi molto più consistenti. Non hanno finora travolto le truppe governative soprattutto per le loro divisioni. Esse sono state parzialmente superate nella “grande battaglia”.

Dubbi sono stati sollevati sulla volontà di combattere delle forze di Assad. Al Aleppo combattono in prima linea soprattutto le fanterie dei contingenti che appoggiano il governo siriano: russe, iraniane, libanesi e i volontari sciiti provenienti dall’Iraq, dal Pakistan e dall’Afghanistan. La loro volontà di combattere a fondo è però erosa dallo scarso impegno dell’esercito governativo. Assad vuole diminuirne le proprie perdite, per disporre delle forze necessarie per controllare i territori conquistati. Non ha però gli effettivi sufficienti per farlo. Non è riuscito ad impedire la rottura dell’accerchiamento della città e, in parte, le sue forze da assedianti si sono trasformate in assediate. La “grande battaglia” riguarda il possesso delle vie di comunicazione, per impedire che gli avversari ricevano rifornimenti e rinforzi.

La situazione sta mutando, soprattutto per il cambiamento della politica di Erdogan. Certamente su suggerimento di Mosca ha dichiarato che Assad potrebbe rimanere al potere nella prima fase del periodo di transizione. Ma il dittatore siriano non intende giungere ad una soluzione negoziata con le varie opposizioni. Vuole vincere. Mantiene in ostaggio i propri alleati, che non intendono perdere la faccia, abbandonandolo al suo destino.

All’inizio di agosto, gli insorti hanno ricevuto consistenti quantitativi di armi e munizioni dalla Turchia. Ma Ankara sta riavvicinandosi ad Assad alquanto disinvoltamente e sta intensificando le sue azioni contro i curdi siriani. Di conseguenza questi ultimi stanno intensificando la lotta contro i governativi, nei cui confronti avevano sinora mantenuto un’ambigua e parziale neutralità. I rapporti di forza sul terreno stanno modificandosi. Non è escluso che Assad, sostenuto dall’aviazione russa, attacchi in forza l’Esercito Democratico Siriano. Il cui nucleo duro è costituito dai curdi dell’YPG, appoggiati dagli USA, anche con elementi delle loro forze speciali, destinate a designare gli obiettivi agli aerei. I curdi dell’YPG sono attaccati dalla Turchia che vuole respingerli almeno a est dell’Eufrate. Esiste il rischio di un’escalation, che potrebbe coinvolgere gli USA e la Russia. Entrambi hanno le mani legate: non possono abbandonare i loro alleati. Il pericolo è concreto. Lo dimostra la decisione di Teheran di boccare l’utilizzo delle sue basi aeree ai super-bombardieri russi, che attaccavano l’ISIS e i curdi siriani. Chiaramente il cauto e realista regime degli Ayatollah, ha fiutato il pericolo e si è tirato fuori dal gioco-

Il conflitto siriano è destinato a durare ancora a lungo. Le alleanze muteranno. La popolazione continuerà a soffrire e i rifugiati ad aumentare. Le fantasie di corridoi umanitarie, di no-fly zones e di zone rifugio, come le proposte di tregua fatte dai russi e dzall’ONU, costituiscono un comodo alibi per salvare la faccia. Nessuna di tale proposte è fattibile. Non esistono le condizioni per attuarla. Una tregua è possibile solo se tutti gli avversari hanno interessi comuni, oppure se temono pesanti interventi stranieri. La situazione siriana è diversa da quella della Bosnia, in cui serbi e musulmani condividevano l’interesse di gestire il mercato nero di Sarajevo, rifornito nelle tregue dai convogli umanitari. In Siria la lotta è a morte, anche per i contrasti  dei paesi che finanziano il conflitto in quel disgraziato paese.    

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