Va riconosciuto al Senato, che si è preso le ferie mandando in carcere il senatore Antonio Stefano Caridi con una votazione a scrutinio segreto e una maggioranza trasversale, dal Pd ai grillini, dalla sinistra vendoliana ai leghisti, almeno il merito di avere accolto “in quasi totale silenzio”, come hanno riferito le cronache, l’esito dello scrutinio. I sostenitori dell’arresto, chiesto dalla magistratura di Reggio Calabria con l’accusa di associazione mafiosa in una indagine chiamata “Mammasantissima”, si sono risparmiati il macabro spettacolo del giubilo offerto in altre occasioni. Che è l’altra faccia della medaglia dei tumulti di protesta quando prevale nel segreto del voto il no all’arresto. Il pudore questa volta è stato salvato.
Può darsi, per carità, che i magistrati calabresi abbiano visto giusto nel reclamare la detenzione del parlamentare forzista, rimasto nell’area di centrodestra aderendo ad uno dei tanti gruppi che ormai l’affollano. Si vedrà se il processo, quando vi si arriverà, darà loro una volta tanto ragione. Una volta tanto, perché non sono certamente rari i casi opposti nei nostri tribunali, dove purtroppo accade di frequente che all’arresto cosiddetto cautelare, com’è appunto quello del senatore Caridi, non segua neppure un rinvio a giudizio.
Trovo tuttavia singolare, senza volere con questo offendere il presidente del Senato e magistrato di lungo corso Pietro Grasso, che ha personalmente voluto accelerare il percorso della pratica zittendo, risentito, un senatore convinto di chissà quali pressioni politiche avesse dovuto subire, che la votazione sull’arresto sia avvenuta nove giorni prima del pronunciamento del tribunale del riesame, dove pende il ricorso di Caridi. Il quale, lasciato in lacrime il Senato dopo un lungo e inutile discorso di autodifesa, si è consegnato al carcere romano di Rebibbia col timore, a dir poco, che il voto parlamentare finisca per giocare contro il suo ricorso.
Mi chiedo quali pericoli avrebbero corso la sicurezza dello Stato, la legge e tutte le altre belle cose di cui si riempiono la bocca i cultori delle manette se il Senato e- consentitemi- il suo presidente avessero rinviato la decisione per attendere il verdetto del tribunale del riesame. Se ne sarebbe riparlato alla ripresa settembrina dei lavori parlamentari. Ma settembre sarà già il mese prossimo. A meno che qualcuno nel Pd e nella Lega non abbia preso sul serio l’accusa dei soliti grillini di volere garantire, votando contro l’arresto, le vacanze del senatore “al fresco dei monti o del mare”, anziché a quello ormai solo metaforico della prigione. Dove di solito si muore di caldo d’estate e di freddo d’inverno.
No. Questa pagina di storia o di vita parlamentare non mi è piaciuta. D’altronde, non è la prima. E temo che non sarà neppure l’ultima perché anche nella nuova versione del Senato offerta dalla riforma costituzionale sotto procedura referendaria a Palazzo Madama varrà l’attuale immunità parlamentare, per quanto vi arriveranno solo consiglieri regionali e sindaci. Di senatori veri e propri rimarranno solo quelli a vita, o i nuovi che saranno via via nominati dai presidenti della Repubblica per decadere con loro.
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Fra le accuse dalle quali dovrà difendersi il senatore mandato in carcere c’è quella di essersi procurata con la sua presunta partecipazione alla malavita organizzata della Calabria la propria elezione. Ma non si era detto anche alla Corte Costituzionale che con la vecchia legge elettorale, bocciata anche per questo dai giudici della Consulta, i parlamentari sono tutti arrivati ai loro posti in questa e nelle due precedenti legislature non eletti dai cittadini, mafiosi compresi, ma nominati dai partiti col sistema delle liste bloccate? Dove ogni deputato o senatore è approdato in effetti a Montecitorio e a Palazzo Madama solo per l’ordine assegnatogli nella lista dal proprio partito, non per le preferenze guadagnatesi personalmente, come avveniva una volta e forse tornerà parzialmente, molto parzialmente, ad accadere con la nuova legge elettorale della Camera chiamata Italicum.
Nella logica dell’accusa al senatore Caridi si potrebbe sostenere che nelle zone a intensa densità mafiosa non soltanto i singoli candidati sono sospettabili di convivenza con la malavita ma anche i loro partiti, non potendosi sostenere ragionevolmente che l’ordine delle candidature sia stato casuale.
I partiti sono già abbastanza impopolari, e finiranno per diventarlo anche quelli che adesso sembrano non esserlo, per sopravvivere, col sistema democratico che dovrebbero rappresentare, all’accusa o solo al sospetto di essere delle associazioni a delinquere. Come d’altronde già una certa pubblicistica qualunquista li dipinge usando come argomento proprio l’alto tasso di inquisiti fra chi li rappresenta ad ogni livello, nazionale o locale che sia.
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Il pudico e “quasi totale silenzio” registrato nell’aula del Senato al frettoloso e rituale annuncio del risultato della votazione su Caridi -154 sì all’arresto, 110 no e 12 astenuti- si è curiosamente ripetuto sulle prime pagine dei giornali. Su quella, per esempio, del Fatto Quotidiano di Marco Travaglio, di solito sensibilissimo alle notizie delle manette che scattano o meno ai polsi onorevoli, non si è trovato neppure un richiamino, presente invece su Repubblica, 24 Ore, Messaggero, Giornale e Manifesto. Sulle prime pagine del Corriere della Sera, della Stampa e degli altri cosiddetti giornaloni niente di niente. L’arresto di un senatore è valso quanto, e forse anche meno di un banale incidente stradale.
Per trovare, sempre sulle prime pagine dei giornali, qualche accenno critico ci si è dovuti accontentare del lodevolmente solito Foglio, che ha avuto il coraggio o il buon senso, come preferite, di dissentire dalla priorità data alla votazione su Caridi dal presidente del Senato e di denunciare il sostanziale ricatto politico subìto dai pochi o molti parlamentari del Pd tentati dal no, in attesa del pronunciamento del tribunale del riesame, ma alla fine decisisi al sì per timore delle solite accuse dei grillini. Che erano pronti magari a votare anche loro segretamente per il no pur di addossarne poi la responsabilità all’altra parte politica. Storia purtroppo ordinaria di deteriore tattica politica. Che con la giustizia sta come i cavoli a merenda.