Rukmini Callimachi, giornalista che segue il terrorismo islamico per il New York Times, ha scritto un reportage destinato a diventare importante nel racconto dello Stato islamico. Callimachi svela la presenza di un sistema simile ai servizi segreti attraverso il quale l’Isis organizza e recluta elementi tra i proseliti che potrebbero essere utilizzati come terroristi in Europa.
LA RICHIESTA: COLPITE A CASA VOSTRA
Il gruppo militarista che ancora controlla tra Iraq e Siria ampie fette di territorio (superficie in realtà in diminuzione di diverse decine percentuali negli ultimi mesi), ha cambiato strategica con i seguaci europei che optano per la scelta fanatica della hijra jihadista a sostegno del Califfo: niente migrazione verso i territori califfali, meglio che siate attivi a casa vostra, è la semplificazione della linea attuale. Una volontà che non è del tutto nuovo, già espressa in almeno un paio di messaggi diretti dal portavoce Abu Mohammed al Adnani, su cui però adesso Callimachi aggiunge macabri e preoccupanti dettagli tecnici. Harry Sarfo è una sorta di pentito, un seguace che aveva scelto la via della Siria e che è stato avvicinato dagli uomini di una speciale servizio segreto del Califfato, i quali gli hanno chiesto di addestrarsi per tornare a colpire in Germania, il suo paese di residenza, anziché restare a combattere sul suolo siriano. Durante la permanenza in Siria, Sarfo è entrato nel training delle unità khas quwat dello Stato islamico (le forze speciali create per addestrare coloro che devono rientrare nei paesi di origine per compiere attacchi: step finale dei 10 livelli di preparazione, il giuramento, bendati, davanti ad Adnani in persona). Il jihadista di origini tedesche ha preso parte a svariati video di propaganda. I video servivano a diffondere la propaganda verso future reclute tedesche. Dice Sarfo di non aver mai partecipato attivamente a scene di esecuzione, anzi sono state certe circostanze – le efferatezze riprese con freddezza durante shooting cinematografici da professionisti, solo con morti vere, le immagini costruite in verità prive di quel realismo che invece lo aveva convinto a partire per il jihad – a far iniziare a vacillare la sua convinzione. Da lì una lunga pianificazione per la fuga, raggiunta attraverso il confine turco. La giornalista americana lo ha intervistato al carcere di Brema, dove è tenuto sotto custodia dallo scorso anno, dopo essere stato intercettato dai servizi di sicurezza tedeschi appena atterrato all’aeroporto – il suo volto ormai era di dominio pubblico. “Dicevano di avere moltissimi affiliati che vivono nei paesi europei e aspettano l’ordine di entrare in azione contro gli europei”, dice Sarfo a Callimachi, “ci hanno chiesto se non ci seccava tornare in Germania dopo l’addestramento, perché è di quello che avevano bisogno in quel periodo”: operativi in Europa. Il primo contatto tra Sarfo e gli uomini mascherati dell’unità speciale ci sarebbe stato dopo una scrematura avvenuta nel corso di tre giorni che lui e altre reclute hanno passato in un centro di reclutamento e smistamento appena il confine turco-siriano, dove agli aspiranti jihadisti venivano richieste generalità e skill: essere europeo con un passaporto in corso di validità, essere pulito e privo di precedenti segni di radicalizzazione, sono requisiti che danno precedenza sugli altri per entrare a far parte di questa élite clandestina del Califfo. Quando i reclutatori dei servizi segreti dell’IS hanno incontrato Sarfo era l’aprile del 2015: sette mesi dopo la guerriglia jihadista avrebbe invaso Parigi nella notte del Bataclan.
L’EMNI
Chi parlava a Sarfo e al suo compagno del viaggio jihadista erano gli uomini della Emni, anche Amni, un’unità di intelligence interna dello Stato islamico, che per ragion d’essere è diventata anche il ramo che gestisce i rapporti con gli uomini autori delle operazioni all’estero; queste informazioni il NyTimes le ha ottenute dopo aver esaminato migliaia di “di pagine delle intelligence francesi, belghe, tedesche e austriache e da documenti di interrogatorio”. A guidare questa unità, sarebbe proprio al Adnani, e secondo i racconti del testimone, che a quanto dice il Nyt collimano con le indicazioni delle intelligence occidentali, subordinati ad Adnani ci sono due luogotenenti, Abu Souleymane al Faransi, cittadino francese (forse di origine marocchina o tunisina), e Abu Ahmad, descritto come siriano, che sono i bracci operativi del leader: sono loro a scegliere direttamente le reclute migliori da inserire nel programma Emni e sono loro che mantengono i contatti con gli operativi (il numero di telefono, turco, di Abu Ahmad è stato trovato nella tasca dei pantaloni di una gamba mozzata appartenente a uno degli attentatori che si è fatto saltare in aria davanti allo Stade de France di Parigi il 13 novembre del 2015). Dal punto di vista organizzativo, si muove per uffici dedicati alle varie aree tematiche: un “servizio segreto per gli Affari europei”, un “servizio segreto per gli Affari asiatici” e un “servizio segreto per gli Affari arabi”, e sulla base di questo si scelgono gli elementi da addestrare e rinviare nei paesi di provenienza. Della presenza del capo della propaganda califfale al comando delle operazioni terroristiche all’estero si era già parlato nei mesi passati, e già da dopo l’attentato di Parigi (e anche in quell’occasione un ostaggio raccontò di aver sentito i terroristi fare direttamente il nome del braccio destro del leader, Souleymane). Quello compiuto nella capitale francese fu un atto dall’inconfondibile organizzazione militare, “si muovevano come dei soldati” è stato il filo conduttore nei racconti dei sopravvissuti, in parte diverso da quelli che si sono susseguiti successivamente, dove oltre all’ispirazioni e alla direzione del Califfato s’è più volte tirato in ballo anche l’instabilità psicologia personale degli attentatori. Terroristi apparentemente senza rapporti tra di loro, accomunati dalla promessa di fedeltà allo Stato Islamico, ma Sarfo precisa che “i rapporti tra di loro potrebbero essere molto più stretti di quanto sospettino le autorità”.
UN PORTFOLIO GLOBALE
“Corroborando l’idea che Emni sia una parte centrale e cruciale delle operazioni dell’Is, dalle interviste e dai documenti risulta che l’unità ha carta bianca assoluta nel reclutare e re-indirizzare gli agenti provenienti da ogni ambito dell’organizzazione, siano essi nuovi arrivi o combattenti esperti, appartenenti alle forze speciali del gruppo o commando delle unità d’élite. Nel complesso, pare emergere un quadro preciso della situazione: dalla registrazione degli interrogatori risulta che gli agenti sono scelti per nazionalità, sono raggruppati per lingua in piccole e discrete cellule in sonno i cui membri in qualche caso si incontrano soltanto una volta, alla vigilia della loro partenza per l’estero”. Stando a quanto scritto dal Nyt, Emni è diventato uno dei meccanismi nevralgici del gruppo: i suoi uomini hanno colpito a Parigi, a Bruxelles e sono stati inviati in Austria, Germania, Spagna, Libano, Tunisia, Bangladesh, Indonesia e Malesia. C’è in Europa una fitta rete di agenti, con compiti operativi indiretti, ossia con l’incarico di mettersi in collegamento con tutti coloro che hanno intenzione di compiere un attentato: a questi insegnerebbero i rudimenti militari e le tecniche di propaganda per rivendicare gli attacchi. È in atto l’organizzazione di “un portfolio globale di terroristi”: i comandanti che hanno contattato Sarfo “cercavano di riempire i buchi della loro rete internazionale” secondo i dati raccolti dal New York Times.
(Foto: la copertina del reportage sul New York Times)