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Vi racconto gli errori di chi odia Trump

Donal Trump

Peggio del ceto politico, a volte, c’è solo la mitica “società civile”. E peggio della società civile, c’è solo un suo sottoinsieme particolarmente elitario: gli “esperti”. Sono gli “esperti” a non aver compreso cosa stesse accadendo in Inghilterra con Brexit e sono gli stessi “esperti” a non comprendere, ora, l’evoluzione del fenomeno Trump negli Stati Uniti.

Sia chiaro: chi scrive non ama Trump, la sua volgarità e il suo stile da egomaniaco. Ma non sono affatto sicuro di trovare necessariamente più “amabile” o più “rassicurante” il record di chi viene da 25 anni di potere, di chi ha tante pagine scure nel proprio passato, e ora punta tutto sulla demonizzazione dell’outsider sgradito.

Certo, Trump non scherza. La sua rissa verbale con i genitori di un soldato americano di religione musulmana ucciso dodici anni fa in Iraq da un’azione terroristica suicida, mentre cercava di salvare i suoi commilitoni dall’attentato, dà la misura di quanto Trump superi ogni limite. I fatti sono noti: alla Convention Democratica il padre del ragazzo, accompagnato da sua moglie, ha criticato Trump e la sua idea di bandire chiunque sia di religione islamica. Un leader equilibrato e ragionevole, pur attaccato così duramente e direttamente, avrebbe saputo comunque esprimere parole di comprensione per il dolore di due genitori, oltre che rispetto per un soldato caduto così coraggiosamente. Invece Trump ha alzato ancora i toni, chiedendosi come mai la madre del ragazzo sia rimasta muta. E anche dopo una dignitosa lettera della signora al Washington Post, Trump ha ulteriormente rilanciato, dando il peggio di sé e suscitando prese di distanza anche tra i repubblicani.

Le prossime settimane si incaricheranno di dirci se questo sia stato veramente un autogol costoso sul piano elettorale per Trump. Eppure, perfino in questo caso, pur avendo ragione da vendere, gli “esperti” hanno commesso il solito sbaglio: parlare solo di Trump (sia pure per demonizzarlo), dire che “questo” errore è diverso dagli altri, che “stavolta” ha davvero passato il segno, ma tenendo sulla scena sempre e solo lui.

Non hanno letto Propp e la sua “Morfologia della fiaba”: se tu metti al centro l’”eroe” aggredito (sia pure un cavaliere scuro, sia pure un cavaliere nero), alla fine i lettori simpatizzeranno per lui, non per i suoi nemici. Intendo dire che l’infortunio più grave degli odiatori di Trump è un errore di fondo: neanche di grammatica o di sintassi, ma proprio di ortografia politica e comunicativa. Parlano di lui, si concentrano su di lui e non dedicano un minimo di attenzione a chi lo vota, a chi lo sceglie, alle ragioni per cui ciò accade e alle emozioni di chi guarda (e vota).

Inutile girarci intorno. C’è un elettorato bianco (non solo maschile: anche molte donne, nonostante il linguaggio misogino di Trump, sono le prime a percepire che il tema della sicurezza è decisivo), di ceto medio o medio basso, di colletti blu o di colletti bianchi, che da anni vede il proprio tenore di vita declinare e ora, addirittura, degradare. Questi elettori non hanno perso il loro posto di lavoro, non hanno subito sconquassi: eppure, sono inesorabilmente transitati da una condizione di relativa serenità a uno stato di affanno economico, di insicurezza profonda, di enorme angoscia per il futuro dei propri figli.

Trump dà voce proprio a loro. Poi resta da capire se riuscirà a mobilitarli alle elezioni generali di novembre, come gli è riuscito in modo spettacolare nel corso delle primarie repubblicane. Ma parla a loro e per loro, che erano stati per anni estromessi dal discorso pubblico “ufficiale” e dall’agenda della politica.

Il punto è qui. Lui li ha riportati in partita, naturalmente a suo modo, entre le élites e l’establishment mostrano una clamorosa incapacità di assumere un punto di vista diverso dal proprio. Per questo Trump è visto come lo strumento di una “vendetta” popolare contro quelle élites e quell’establishment e, di conseguenza, il pubblico dei “vendicati” perdona tutto al “vendicatore”. Ne giustifica gli eccessi, li spiega come una reazione (magari spropositata) agli attacchi sistematici di cui è oggetto, e così via.

Ha totalmente ragione Niall Ferguson, che lo ha scritto in modo magistrale sul Times di Londra qualche giorno fa: le élites – incredibilmente – ancora non hanno capito che ciò che risulta oltraggioso per loro non necessariamente appare tale alla maggioranza degli elettori “normali”, quelli meno “eleganti” di loro. Nasce qui, in questo distacco, la sconfitta degli “esperti” e ancora di più la loro incapacità di capire quando e quanto stiano perdendo il contatto con la realtà.

Sia detto senza demagogia, ma solo per descrivere “sociologicamente” e “antropologicamente” una realtà: Trump – giusto o sbagliato – parla a chi fatica ad arrivare alla fine del mese. Molti degli “esperti” che lo demonizzano – al di là e al di qua dell’Atlantico – hanno, invece, come loro problema esistenziale il mutuo della terza o della quarta casa. Figurarsi se chi scrive (da liberale e liberista, pure “selvaggio”) ha un approccio pauperista: lo scrivo solo per sottolineare un rovesciamento delle parti rispetto ad alcuni schemi del passato, quello per cui è il candidato più a destra a interpretare le paure dei ceti deboli, mentre gli intellettuali impegnati a sinistra vivono – letteralmente – “altrove”, dove quelle paure e quelle preoccupazioni popolari si vedono e si sentono solo in lontananza.



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