Skip to main content

L’ignoranza politica degli elettori non è un reato

L’ignoranza politica degli elettori non soltanto è razionale ma è anche presupposto della salvaguardia della loro libertà personale.

Nel breve volgere di alcune settimane la celebrazione di due referendum, quello italiano sulle cosiddette trivelle e quello Inglese sulla Brexit (il secondo evidentemente molto più rilevante del primo), ha catapultato al centro del dibattito pubblico una molteplicità di tematiche riconducibili alla natura ed alla sostanza della democrazia liberale. È noto che si è discusso in ordine sparso della bontà della democrazia diretta, della capacità degli elettori di assumere decisioni consapevoli, della preferenza per la democrazia rappresentativa e delle migliori doti di discernimento di cui dovrebbe essere fornita la classe dirigente di un paese moderno.

Il fronte della battaglia d’opinione ha visto da un lato coloro che hanno espresso riserve verso l’esercizio diretto della democrazia e dall’altro quanti invece hanno sottolineato l’importanza di un appello frequente al corpo elettorale in presenza di elites politiche poco rappresentative e sfornite delle competenze necessarie allo svolgimento di un ruolo così delicato.

Qualche osservatore ha descritto molto bene come l’ignoranza politica degli elettori sia del tutto razionale ed ha illustrato allo stesso tempo come solo una riduzione del perimetro d’intervento dello Stato possa contribuire a ricondurla all’interno di limiti fisiologici ed accettabili.

È necessario aggiungere, tuttavia, che l’ignoranza politica degli elettori non soltanto è razionale ma è anche il presupposto imprenscindibile della salvaguardia della loro libertà personale. Solo un cittadino-elettore moderatamente ignorante in ambito politico può vantare un livello di libertà personale soddisfacente.

Se ne era accorto già duecento anni fa Benjamin Constant quando nel celebre “La libertà degli antichi paragonata a quella dei moderni” aveva ricordato che la libertà politica è la garanzia della libertà personale, ma quest’ultima è l’unica vera libertà moderna, cosicché: “…chiedere ai popoli dei nostri giorni di sacrificare, come quelli di un tempo, tutta la libertà individuale alla libertà politica, è la via più sicura per allontanarli dall’una; e a quel punto non si tarderebbe a sottrarle loro anche l’altra.

L’esercizio diretto della democrazia da parte dei cittadini richiederebbe un impegno pressoché interamente assorbente del tempo e delle risorse disponibili (entrambe scarse per definizione) per assumere consapevolmente le molteplici decisioni negli ambiti più disparati, ciascuno dei quali in epoca moderna è caratterizzato da una specializzazione esasperata.

Il sacrificio cui andrebbe incontro il cittadino dedito consapevolmente alla gestione della cosa pubblica consisterebbe senza dubbio nella perdita della libertà di attendere ai propri affari, di lavorare, di esercitare una professione, di dedicarsi alla produzione di ricchezza, di coltivare relazioni familiari e sociali in senso lato.

Per tali ragioni l’unica democrazia compatibile con il liberalismo è la democrazia rappresentativa, un’organizzazione, secondo Constant, “mediante la quale una nazione si affida ad alcuni individui per ciò che non può e non vuole fare essa stessa.”

Naturalmente occorre rifuggire dal rischio (ben individuato dall’intellettuale francese) che, assorbiti nel godimento della libertà individuale e nel perseguimento degli interessi privati, i cittadini rinuncino al loro diritto di partecipare al potere politico e di esercitarne le relative facoltà almeno in misura sufficiente a garantirsi la libertà dei moderni.

Anche la democrazia rappresentativa, tuttavia, soffre di un interpretazione totalizzante sostenuta da quanti ritengono che l’elettore prima di recarsi alle urne per scegliere il proprio rappresentante dovrebbe essere consapevole di una mole di notizie oltremodo rilevante in ordine ai programmi, alle condotte assunte nel tempo dal partito politico o da leader prescelto, alla coerenza di alleati ed avversari, al merito delle proposte avanzate e così via discorrendo.

La pretesa, nondimeno, presuppone ancora una volta che il cittadino dedichi il tempo necessario, ad esempio, a confrontarsi quotidianamente (e per anni) con numerosi strumenti d’informazione (perché leggere un solo giornale darebbe una prospettiva limitata e di parte), con i social network, con i vari talk show (perché ciascun programma televisivo è anch’esso di parte), ed omette allo stesso tempo di prendere atto che essa è realizzabile esclusivamente da coloro che (grazie alla divisione del lavoro ed all’aumento di produttiva che così si determina secondo l’originario insegnamento di Adam Smith) sono retribuiti proprio per fare e produrre informazione politica o da quanti hanno ricchezza a sufficienza (rapporto ore lavorate/retribuzione percepita) per dedicarvisi.

D’altronde il filosofo Karl Popper, che non può di certo essere sospettato di simpatie illiberali, ha spiegato bene che l’essenza di un regime democratico non risiede nel governo del popolo ma nella possibilità invece per i cittadini di sbarazzarsi (ogni qual volta lo ritengano opportuno) pacificamente e senza spargimento di sangue dei governanti giudicati incapaci.

Spesso i più convinti sostenitori della “democrazia partecipativa” totalizzante richiamano l’insegnamento di Luigi Einaudi, “prima conoscere, poi discutere e infine deliberare”, per sferzare il cittadino apatico e superficiale che non si informa e poco sa dell’intero scibile politico.

Dimenticano, però, i tifosi delle virtù civiche ad oltranza che il secondo Presidente della Repubblica della storia dell’Italia fu un intellettuale liberale e liberista di quelli fra i più rigorosi, per il quale il ruolo dello Stato (e dunque della politica) doveva rimanere confinato dentro un ambito ben delimitato, cosicché al cittadino-elettore si dovrebbero chiedere ben poche deliberazioni per valutare l’operato dei rappresentanti impegnati a loro volta in ambiti del tutto circoscritti. A salvaguardia, tra le altre cose, del sacro santo diritto di essere sufficientemente ignoranti quanto basta per risultare massimamente liberi.


×

Iscriviti alla newsletter