Il New York Times pubblica un’inchiesta su un giro di soldi milionario e interessi non limpidi del capo della campagna elettorale di Donald Trump, Paul Manafort, che avrebbe ricevuto compensi “non dichiarati” da movimenti filorussi ucraini. I media americani non mollano la pista che collega il candidato repubblicano a sospetti e inquietanti link con la Russia, e le conseguenti speculazioni sulla volontà di Mosca di influenzare le elezioni americane del prossimo 8 novembre.
Manafort ha contatti importanti in Ucraina, avendo per diverso tempo lavorato per l’ex presidente Victor Yanucovich, discusso presidente dalla linea autoritaria, fuggito in Russia nel 2014 dopo i moti di piazza del Maidan, che sfociarono nell’annessione russa della Crimea e poi nella guerra del Donbass: conflitto ancora aperto, crisi tutt’altro che risolta (basta girare le sguardo in questi giorni al confine ucraino-crimeano, dove la tensione è tornata altissima). La Davis-Manafort International (particolarmente incline a collaborare con i presidenti dispotici: vedi il filippino Ferdinand Marcos), società del capo dei consulenti di Trump, ha continuato a lavorare in Ucraina anche dopo la deposizione di Yanucovich, aiutando i suoi ex alleati a formare un blocco politico di opposizione al governo filo-occidentale che si è elettoralmente imposto a Kiev.
Al di là della libera scelta del cliente, non proprio una personalità integerrima, la polemica in America ruota attorno alla questione della remunerazione che non sarebbe stata dichiarata da Manafort. Il predecessore di Manafort, Corey Lewandoswski, licenziato in corsa dal magnate americano, per esempio ha sottolineato su Twitter l’articolo del Nyt, attirandosi addosso critiche, accuse e insulti dei fan trumpiani.
Fairly remarkable tweet-retweet combo from the one and only Corey Lewandowski. cc: @nytimes pic.twitter.com/526yKMk9jh
— Matt Pearce (@mattdpearce) 15 agosto 2016
Ci sarebbero 12,7 milioni di dollari intestati a Manafort passati attraverso il partito filorusso di Yanucovich: movimenti di soldi scritti a mano in un libro/registro (nella foto del NYT) ritrovato dalle autorità anticorruzione ucraine tra alcuni documenti sequestrati al Partito delle Regioni che una volta governava il paese. Sarebbero registrazioni utilizzate per tenere in ordine pagamenti e concessioni a funzionari e politici che non dovevano essere rese troppo pubbliche. Il lobbista americano, che aveva già lavorato come advise per Gerald Ford, Ronald Reagan, George H. W. Bush (e con Bob Dole), non sarebbe oggetto di un capitolo di inchiesta indipendente e non è dimostrato ancora che ci siano ricevute di pagamenti non dichiarati, ma il suo nome sarebbe emerso per 22 volte nel merito di un’indagine del nuovo governo di Kiev a proposito di società off-shore che hanno facilitato la sontuosa vita di quello che era l’inner circle presidenziale ai tempi di Yanucovich. Dai documenti emersi uscirebbe anche una partnership economica tra Manafort e un oligarca russo, Oleg Deripaska, uno stretto alleato del presidente Vladimir Putin.
Manafort non ha risposto alle richieste di commento del Nyt, ma il suo avvocato Richard Hibey, membro dello studio legale di Washington Miller & Chevalier, ha dichiarato al giornale che l’assistito non ha ricevuto i “pagamenti in contanti” descritti dai funzionari ucraini. In realtà la parcella di Manafort è stata più volte discussa, in quanto il consulente non solo aiutava Yanucovich a vincere le elezioni a Kiev, ma attraverso i suoi rapporti a Washington contribuiva a “lustrare l’immagine del suo cliente nei confronti dell’Occidente” scrive il NYTimes, ossia faceva il lobbista, il suo lavoro, ma per farlo per un paese straniero negli Stati Uniti occorre essere registrato in un apposito file del dipartimento di Giustizia, all’interno del quale Manafort non era iscritto. Ora emergono queste 400 pagine del registro dei pagamenti in nero del partito di Yanucovich (“black ledger” li chiamano inglesizzando in Ucraina), “un esempio molto vivido di come i partiti politici sono finanziate in Ucraina”, ha detto Daria Kaleniuk, direttrice esecutiva dell’Anti-Corruption Action Center di Kiev. Le presenza del nome di Manafort nei doc non è provante, per esserlo occorrerà verificare la firma apposta per confermare il pagamento: “La presenza del nome di P. Manafort nella lista non significa che ha effettivamente ottenuto il denaro, perché le firme che compaiono nella colonna dei destinatari potrebbero appartenere ad altre persona” dice la nota. Gli uffici di Kiev hanno trasmesso all’Fbi secondo un accordo di condivisione tra Usa e Ucraina.