Bombardieri a lungo raggio Tu22M3 e Su24 russi hanno bombardato la Siria partendo da un base aerea iraniana, lunedì 15 agosto, per la prima volta dall’inizio del conflitto e dall’inizio dell’aumento del coinvolgimento di Mosca (settembre del 2015). La notizia è molto importante per almeno tre ragioni.
Primo perché significa un aumento dell’azione operativa della Russia sul teatro siriano: partendo dall’Iran i bombardieri accorciano i tempi di missione, riducono i costi, migliorano l’efficienza. Gli strikes si sono concentrati su Aleppo e Idlib, aree in cui russi e iraniani sono impegnati nel puntellare il regime contro le forze dei ribelli combattenti, e su Deir Ezzor, il bacino petrolifero del nordest siriano, che è praticamente tutto in mano allo Stato islamico. Questo incremento delle operazioni è rinvenibile anche nella richiesta di Mosca per il sorvolo dei cieli iraniani e iracheni di missili da crociera che potrebbero finire su Aleppo eccetera nei prossimi giorni.
Un altro aspetto centrale di questa notizia molto discussa riguarda il rafforzamento dell’asse Mosca-Teheran (scritto in ordine di importanza strategica nell’alleanza). La partenza dei jet russi dalla base di Hamedan, nell’ovest iraniano, significa che i rapporti tra i principali partner politici e militari di Damasco tutto sommato stanno funzionando, nonostante nei mesi precedenti si era parlato di una certa insofferenza che arrivava soprattuto dalla sponda russa, dove non si apprezzava troppo la linea ideologica e settaria con cui gli ayatollah si muovono in Siria. Russia Today, emittente spesata dal Cremlino, ha trasmesso delle immagini riprese da uno dei caccia che hanno scortato i bombardieri: il video ha assunto un ruolo celebrativo per la partnership. Anche sul lato iraniano la questione non è di poco peso: l’arrivo dei Tupolev e dei Sukhoi, dei caccia di supporto Su30, dei cargo IL76 che hanno trasportato gli armamenti, del personale per la logistica, significa una violazione costituzionale, perché rappresenta l’ingresso di un contingente militare straniero all’interno del Paese (politici iraniani si sono prodigati nello spiegare che non si tratta però di un’installazione permanente).
Rus aircraft made strike on militants’ objects in #SYRIA taking off from #Hamedan base(Iran) https://t.co/jPdwuY1NAGhttps://t.co/QocYEcztaj
— Минобороны России (@mod_russia) 16 agosto 2016
Terza questione: mentre dal punto di vista tattico bombardare dall’Iran (anche se non è chiaro se diventerà prassi oppure no; pare che siano già rientrati in Russia) significa aumentare il proprio impegno in Siria, il ministro della Difesa russa Sergei Shoigu andava in televisione a parlare di un’intesa operativa con gli Stati Uniti. È un accordo di cui si è già parlato, secondo cui russi e americani dovrebbero colpire insieme i ribelli nell’area di Aleppo, concentrandosi su quella che era la qaedista Jabhat al Nusra, nonostante il restyling. Ma questo significa di fatto combattere la componente ribelle più forte, e dare sostegno al regime siriano, che da qualche settimana è in arretramento sul fronte della seconda città siriana, dopo che i combattenti delle opposizioni hanno aperto un varco nello stallo dell’assedio che durava da mesi, riconquistando una fetta di territorio di poco meno di tre chilometri. Per questo Washington ha glissato sulle affermazioni di Mosca, “ancora non c’è nulla di ufficiale” il commento del Dipartimento di Stato.