Regole più semplici, racchiuse in un unico testo che comprende anche le precedenti disposizioni su agevolazioni fiscali, responsabilità civile e procedure igienico-sanitarie. Insomma, un bel po’ di burocrazia in meno. Poi una chiara definizione dei ruoli, incentivi per chi dona, il ruolo del Tavolo di coordinamento del Mipaaf, le campagne di comunicazione Rai, l’impegno nelle scuole del Miur, il coinvolgimento della filiera agricola.
Sono alcune delle principali novità del disegno di legge “Disposizioni concernenti la donazione e la distribuzione di prodotti alimentari e farmaceutici ai fini di solidarietà sociale e per la limitazione degli sprechi”, la cosiddetta “legge Gadda” (dal nome della deputata Pd Maria Chiara Gadda) approvata a marzo alla Camera e nei giorni scorsi licenziata definitivamente dal Senato. Un provvedimento che, nelle intenzioni dei promotori, dovrà scoraggiare lo spreco di risorse alimentari e incentivarne la donazione alle realtà non-profit e caritatevoli che assistono le famiglie povere. Ne è convinto Marco Lucchini, direttore della Fondazione Banco Alimentare, la principale organizzazione italiana impegnata in questo settore, che in 26 anni di attività ha recuperato e donato agli indigenti una cosa come 1 milione di tonnellate di cibo.
Direttore Lucchini, quali sono le novità più significative della legge Gadda?
Innanzitutto, la chiarezza che viene fatta per tutti gli operatori grazie a una legge che raccoglie in un unico testo, organico e completo, il meglio dell’esperienza in questo campo. L’esempio principale è la sburocratizzazione attuata in diversi ambiti.
Ci faccia qualche esempio.
Prima le aziende e le catene di distribuzione potevano donare liberamente cibo in eccedenza fino a un valore di 5mila euro, oltre il quale era necessaria la comunicazione all’Agenzia delle Entrate che scoraggiava molti soggetti. Adesso questa soglia è stata alzata a 15mila euro per chi vuole donare cibo in eccedenza alle realtà non-profit e caritatevoli, mentre chi lo vuole distruggere deve seguire quella procedura piuttosto complessa. Insomma, se doni hai la strada spianata, se distruggi hai la vita più complicata. Viene poi chiarito in maniera inequivocabile che il termine minimo di conservazione, la famosa dicitura del “da consumarsi preferibilmente entro la tal data”, non coincide con la scadenza. Significa che se quel termine minimo è stato da poco superato, il prodotto è ancora consumabile, basta che sia stato ben conservato e magari assaggiarlo e sentirne l’odore prima. Così si combatte il maggior fattore di spreco nelle case degli italiani.
Perché secondo lei questa legge è un esempio di applicazione del principio di sussidiarietà?
La legge è nata da un’idea dell’on. Gatta, che ha trovato nel ministro Martina, soprattutto nei mesi di Expo, un terreno molto fertile. Poi c’è stato l’incontro con noi del Banco Alimentare, forti di 26 anni di esperienza. È nato un dialogo che ha portato alla condivisione del testo, non si è trattato del classico provvedimento pensato a tavolino da qualche illustre politico e burocrate, poi imposto ai cittadini. Il confronto è durato più di un anno e mezzo, sono stati coinvolti molti altri soggetti del non-profit oltre a noi, insieme a tutta la filiera agroalimentare, i Ministeri della Salute, Welfare e Ambiente. Inoltre è stato istituito il Tavolo del Mipaaf. Il risultato è che la nostra legge, forte di un largo consenso è subito applicabile e operativa, non servono decreti attuativi. Ben diverso da quanto accaduto in Francia, che pure tanti osservatori italiani hanno lodato…
Sottolineare la differenza con i francesi è un impegno che vi siete presi, come si evince anche dal vostro sito. Perché?
Si è molto parlato della legge francese, definendola un esempio virtuoso in contrasto con l’Italia ancora senza una regolamentazione nella lotta agli sprechi. Ebbene, la prima versione della legge francese approvata nel maggio 2015 è stata bocciata dalla loro Corte Costituzionale, l’hanno dovuta rivedere soprattutto nella parte in cui prevedeva sanzioni per chi non ottemperava all’obbligo di dono del cibo in eccedenza, il tutto sotto lo stretto controllo delle autorità. Noi abbiamo seguito un’altra impostazione, quella basata sulla libera iniziativa di aziende e non-profit, su incentivi e agevolazioni per chi dona, scoraggiando la distruzione del cibo. Ma senza punire nessuno. Basta parlare con le catene commerciali per verificare quanto sia preferibile la nostra linea.
Ci sono obiettivi in termini numerici per la legge Gadda?
In Italia ci sono ancora 5 milioni di tonnellate eccedenti di cibo, come ha reso noto una ricerca del Politecnico di Milano presentata a Expo. Ad oggi sono 500mila le tonnellate di risorse alimentari recuperate dalle organizzazioni non-profit per lo scopo umano, grazie alle donazioni di aziende, gruppi e privati cittadini. Forti di questa nuova legge, possiamo arrivare a raddoppiare la quota di cibo recuperato fino a 1 milione di tonnellate, e penso sia possibile farlo nel giro di pochi anni. Ma è chiaro che le nostre organizzazioni vanno sostenute: servono mezzi refrigerati, celle, benzina, personale, volontari…
La lotta allo spreco alimentare oltre ad aiutare le famiglie povere può anche creare sviluppo e occupazione?
Io ho iniziato 26 anni fa lasciando il lavoro che facevo. Oggi il Banco Alimentare ha 1800 volontari in tutta Italia impegnati ogni giorno nelle sue 21 sedi e 150 persone che vi lavorano, di cui la metà prima non aveva un’occupazione. Diamo un contributo all’economia circolare, sapendo che chi dona un euro al Banco Alimentare poi ridà 20 euro alla società attraverso i nostri servizi. Le organizzazioni non-profit e caritatevoli con questa legge assumono un ruolo fondamentale, non sono più considerate un mero ente di beneficenza, ma strutture qualificate e professionali, con all’interno persone competenti.