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Matteo Renzi, gli avvisi di sfratto e il conto dell’oste

Matteo Renzi

Che il momento per Renzi ed il Governo non sia dei migliori è evidente: sconfitta alle elezioni amministrative con l’azzardo della personalizzazione sulle riforme, dati economici deludenti rispetto alle propagandate attese, questione bancaria ancora irrisolta con ricadute pesanti in termini di fiducia nel “sistema Italia” e riforme in bilico dopo la saldatura del fronte del No (destra, sinistra e grillini) alla modifica della Carta costituzionale.

Ciò detto, le frecce all’arco dell’ex sindaco appaiono ancora molte e ben solide se confrontate con l’intrinseca debolezza dell’opposizione (esterna ed interna) assai avara in proposte, sempre più connotata da toni esagitati perciò stesso poco credibili (chi grida sempre al lupo rischia di diventarne preda) e, sopratutto, animata da interessi e strategie divergenti se non -addirittura- diametralmente opposte.

Così, mentre Parisi, bisognoso di tempo per rianimare un centrodestra “esangue”, invoca non le elezioni ma il Renzi bis ed una fase costituente dopo la vittoria del No al referendum, i Cinque Stelle – anch’essi sostenitori del No – sono già in sella per una rombante campagna elettorale.

Ma le contraddizioni dell’opposizione potrebbero essere destinate a deflagrare nel caso in cui il premier decidesse di puntare sulle due frecce più avvelenate (anche sul fronte interno al Pd): un deciso taglio delle tasse (Ires ed Irpef) e la modifica dell’Italicum.

Come molti autorevoli analisti pronosticano, l’Europa, già fiaccata dalla Brexit, intimorita dall’ondata terroristica e disorientata sulla vertenza migranti, non potrà permettersi il lusso di aprire anche il “fronte italiano” contribuendo a “destabilizzare” il quadro politico del Bel Paese con pretese eccessive in termini di rigore e di austerity. Sarà giocoforza quindi per Merkel & c.  – magari con vincoli stringenti sull’utilizzo delle risorse concesse (vincoli peraltro assai utili al Premier per evitare il tradizionale “assalto alla diligenza” e blindare la finanziaria nell’iter parlamentare) – concedere maggiore flessibilità all’Italia che in soldoni significano miliardi sonanti a disposizione dell’Esecutivo per investimenti pubblici e stimolo alla crescita.

Provvedimenti in grado di smorzare il vento che negli anni ha gonfiato le vele di chi, dall’opposizione, si è stracciato le vesti per l’eccessivo rigore (vedi Lega o settori di Forza Italia e dei Cinque Stelle) o, chi – per contro – ha costantemente denunciato l’inerzia del Governo sul fronte degli investimenti pubblici.

Ma c’è di più. La freccia più acuminata risiede in quello che da tempo abbiamo individuato – anche su queste colonne – come “l’asso nella manica” di Renzi, ovvero la modifica dell’Italicum. All’occorrenza, infatti, nel renzianissimo stile emergenziale – suggerito, eventualmente, anche dal pronunciamento della Corte Costituzionale atteso per i primi di ottobre – il Governo potrebbe presentare e far approvare in piena campagna referendaria (almeno in prima lettura e con l’ennesima fiducia strategica) una nuova legge elettorale magari con il premio di maggioranza alla coalizione o l’elezione diretta dei senatori per sfaldare il fronte del no, recuperare consensi a sinistra e credibilità al centro (leggi Udc, quagliarielliani ma anche una parte di azzurri) e rispedire al mittente i tanti avvisi di sfratto recapitati in questi mesi all’inquilino di Palazzo Chigi.

La partita è appena agli inizi e nonostante le indubbie difficoltà, qualcuno potrebbe davvero aver fatto conti affrettati avanti l’oste.


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