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Come si districa Matteo Renzi tra Merkel, Prodi e sinistra Pd

Le notizie giunte da Ventotene, almeno quelle che riguardano più direttamente gli italiani e il loro governo, sono quanto meno contraddittorie. A sentire la maggior parte dei giornali, la cancelliera tedesca Angela Merkel, evidentemente pressata dai suoi elettori più di Matteo Renzi, che aveva appena annunciato di non volerli portare alle urne politiche prima del 2018, ha detto che di “flessibilità” ce n’è già nella gestione economica e finanziaria dell’Unione Europea. Pertanto sarebbe praticamente inutile aspettarne di più per la preparazione di una legge italiana di stabilità, ex finanziaria, generosa nelle spese. Ma La Stampa e l’Avvenire, specialmente la prima, che ha una più consolidata tradizione nel trattare argomenti internazionali, hanno visto qualche spiraglio nelle parole, nei sospiri e nelle occhiate dell’ospite tedesca nelle acque dell’sola dove gli antifascisti imprigionati da Mussolini – e non in vacanza, come ha scritto Vittorio Feltri su Libero per la sua nota voglia di sorprendere e di fare l’anticonformista a tutti i costi – sognarono gli Stati Uniti d’Europa e ne tracciarono un “manifesto”.

Certo, non sono mancati gli ormai soliti elogi della cancelliera tedesca per le “coraggiose riforme” portate avanti da Renzi, e i sottintesi auguri di vincere il referendum previsto a fine novembre sulle modifiche alla Costituzione. Ma che l’aria o lo “spirito” di Ventotene non abbia gonfiato la borsa del presidente del Consiglio ha mostrato di capirlo anche un giornale particolarmente impegnato a sostenere il capo del governo italiano e a rimproverare al vecchio “amor nostro” Silvio Berlusconi di fargli troppo la guerra: Il Foglio. Che in un articolo siglato con la ciliegina rossa del suo direttore Claudio Cerasa ha incitato Renzi a cambiare passo, a questo punto. Cioè, a non illudersi di poter fare tutto e presto, con lo slogan “Adesso” usato per scalare e conquistare la segreteria del maggiore partito italiano e poi anche Palazzo Chigi. Egli deve “correre i tremila siepi e non i duecento metri”. Non se la può cavare con la crescita zero o con “lo zero virgola” giustamente contestato a suo tempo al predecessore Enrico Letta. Deve mettersi in testa di fare leggi di stabilità davvero “strutturali”, a cominciare da questa ormai già in elaborazione, e non più “clientelari”, mirate cioè a far crescere o non far calare troppo le percentuali elettorali del proprio partito.

Il giornale più intelligentemente renziano ha insomma finito per rimproverare al presidente del Consiglio la stessa cosa, paradossalmente, dei suoi critici e avversari della sinistra piddina: una certa mancanza del “linguaggio della verità” per descrivere le condizioni del Paese e adottare le terapie giuste per una vera ripresa a distanza. Terapie però opposte a quelle delle spremute fiscali care alla sinistra, si deve presumere.

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Si potrebbe anche sospettare, a questo punto, che la rinuncia di Renzi a progetti elettorali anticipati rispetto alla scadenza ordinaria della legislatura, a lungo attribuitigli a torto o a ragione sia in caso di sconfitta sulla riforma costituzionale sia in caso di vittoria, sia stata causata nei giorni scorsi non tanto dalla “spersonalizzazione” dell’appuntamento referendario reclamata anche da amici e sostenitori della riforma come il presidente della Repubblica Sergio Mattarella e più esplicitamente dal predecessore Giorgio Napolitano, ma dalla consapevolezza di non poter contare su tutta la flessibilità che gli occorrerebbe a Bruxelles per il varo di una legge di stabilità generosa e “clientelare”, come direbbe il direttore del Foglio.

Valutare a questo punto gli effetti che potrà avere questo quadro sull’esito del referendum costituzionale d’autunno è difficile.

Anche se ostentano ottimismo per ragioni comprensibili di propaganda, nell’entourage del presidente del Consiglio non mancano preoccupazioni e anche malumori. Mi è capitato di coglierne personalmente, anche se riservatamente, e probabilmente destinati ad essere smentiti all’occorrenza, nei riguardi del perdurante silenzio dell’ex presidente del Consiglio, e leader delle ultime esperienze di cosiddetto centrosinistra, Romano Prodi. Che, in effetti, pur corteggiato pubblicamente e personalmente da Renzi, con tanto di auguri genetliaci in piazza e difese accanite da quanti a sinistra gli fecero scarpe e calzini a Palazzo Chigi, rovesciandolo anzitempo due volte in dieci anni, si spende spesso in dotti e documentati commenti giornalistici su scenari internazionali e persino sulle Olimpiadi prossime venture, ora che sono finite quelle di Rio, ma non ha ancora trovato il tempo e la voglia di scrivere della riforma costituzionale sotto procedura referendaria. Eppure, secondo gli amici di Renzi, suffragati anche da un recente intervento dell’ex ministro prodiano della Difesa Arturo Parisi, essa risponde o quanto meno si avvicina ai progetti ulivisti del monocameralismo e della stabilità governativa.

Che cosa spinga Prodi ad un così lungo e ostinato silenzio, i sostenitori del presidente del Consiglio non riescono a spiegarselo bene. Ce n’è qualcuno che comincia ad avere sospetti quanto meno inquietanti. Quello, per esempio, di un’arrabbiatura non ancora smaltita per il contributo attribuito, a torto o a ragione, anche ai renziani nel fallimento, tre anni fa, della candidatura del professore emiliano al Quirinale. O quello di una tanto prudente quanto astuta attesa degli eventi per giocare, in caso di vittoria del no referendario, la carta dell’uomo di riserva del Pd e della Repubblica, intesa naturalmente come istituzione e non come giornale.

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Una piccola soddisfazione, comunque, gli uomini e le donne di Renzi l’hanno ottenuta nelle ultime ore sul fronte referendario: la difesa del presidente del Consiglio e della sua riforma da parte della figlia adottiva di Palmiro Togliatti: la psichiatra Marisa Malagoli Togliatti, appunto, che lo storico segretario del Pci e la compagna Nilde Jotti portarono a casa e accudirono nel 1950, ultima di 12 figli di una famiglia orgogliosamente proletaria, dopo che un fratello era stato prima imprigionato e poi ucciso nei moti popolari di Modena. La signora è corsa davanti alla tomba di Togliatti, dove riposa anche la Jotti, nel cinquantaduesimo anniversario della morte anche per rilasciare dichiarazioni di apprezzamento della riforma costituzionale di Renzi.

Ciò contribuisce a capire l’attenzione riservata a Togliatti, alla vigilia dell’anniversario della morte, dall’Unità di conio renziano, pur al netto di un ricordo relegato all’interno del giornale, senza un rigo di richiamo in prima pagina.

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