Skip to main content

Mps, ecco cosa cela l’operazione sui bond subordinati allo studio del Monte dei Paschi di Siena

Per il Monte dei Paschi di Siena si preannunciano un mese di settembre e, in generale, un autunno quanto mai complessi. Con i venti che tirano sui mercati, e le vendite che in estate hanno penalizzato soprattutto le banche italiane, per l’istituto senese diventa sempre più difficile attuare il piano messo a punto dopo la bocciatura agli stress test europei di fine luglio.

UN PIANO CHE SCRICCHIOLA

In estrema sintesi, il piano prevede che Mps, in prima battuta, ceda un maxi pacchetto di sofferenze dal valore lordo di 27,7 miliardi di euro e al prezzo di 9,2 miliardi (10,2 il valore netto nel bilancio della banca), per poi procedere subito dopo con un aumento di capitale da 5 miliardi. Ma si tratta di un progetto che presenta numerose difficoltà, a cominciare da quelle connesse alla vendita del pacchetto di sofferenze: l’attivazione della garanzia pubblica Gacs sulla parte di obbligazioni senior (meno rischiose) da 6 miliardi richiede tempi lunghi. Ma Mps non può aspettare e deve intervenire subito. Ecco perché quei 6 miliardi inizialmente saranno anticipati da Jp Morgan, che insieme a Mediobanca è consulente dell’intero piano. Soprattutto, però, c’è l’incognita del successo dell’aumento di capitale della banca da 5 miliardi, che nelle intenzioni dovrebbe concretizzarsi tra ottobre e novembre.

IL NODO REFERENDUM

In questo modo, però, si andrebbe a cavallo del referendum costituzionale che a detta di molti osservatori è ormai diventato un referendum sull’attuale premier italiano Matteo Renzi. Proprio per questo motivo, numerosi analisti e addetti ai lavori, in questi giorni, mettono in guardia che da adesso in poi i mercati finanziari potrebbero scontare un’incertezza politica sempre maggiore per il nostro paese. E questa incertezza, in un circolo vizioso, rischia di penalizzare soprattutto il settore bancario, più che mai fragile per il nodo dei crediti deteriorati, e Mps, l’unico istituto a non avere superato gli stress test di luglio, in modo particolare.

Per questo motivo, Alessandro Graziani, sul Sole 24 ore del 27 agosto, scrive che già da ora le banche d’affari coinvolte nel piano per Mps hanno “captato che la sovrapposizione temporale con il referendum in Italia potrebbe aggiungere incertezza a un’operazione che già è complessa in partenza (i 5 miliardi di emissione massima si confrontano con una capitalizzazione di mercato attuale di 700 milioni). Per questo, il vertice dell’istituto e i vari advisor coinvolti nell’operazione stanno lavorando per posporre la ricapitalizzazione e soprattutto per ridurne l’importo“. In linea con questo pensiero Giovanni Pons, che su Repubblica del 24 agosto scrive: “Comincia a serpeggiare diverso scetticismo sul piano di ristrutturazione di Mps presentato a fine luglio e che prevede un aumento di capitale da 5 miliardi da effettuarsi sul mercato“.

IL “PIANO B” SULLE SUBORDINATE

Così, si fa sempre più strada l’ipotesi di un “piano b” per il salvataggio del Monte dei Paschi, in cui nel frattempo – va sottolineato – il Tesoro figura come primo socio singolo con circa il 4% del capitale (tale quota è il frutto del pagamento in azioni dei Monti bond). Scrive Graziani sul Sole 24 Ore: “In particolare, la banca ha allo studio un intervento sui bond subordinati. Stando alle indiscrezioni di fonti finanziarie (no comment da Mps), il Monte potrebbe lanciare un’offerta sui 3 miliardi di bond subordinati in mano agli investitori istituzionali, proponendo la conversione volontaria in azioni. Non sarebbero coinvolti della manovra finanziaria i 2 miliardi di subordinati in mano alla clientela retail. La conversione di bond in azioni permetterà, riducendo il debito e aumentando la patrimonializzazione, di contenere l’aumento di capitale ben al di sotto dei 5 miliardi ipotizzati finora come livello massimo“. Si parla dunque di conversione “volontaria” delle obbligazioni subordinate in mano agli istituzionali in azioni, ma va ricordato che in ogni caso, se mai il piano iniziale messo a punto da Jp Morgan e Mediobanca non andasse a buon fine, il rischio per Mps sarebbe di finire in risoluzione con le regole del bail-in. Che nel peggiore dei casi possono azzerare il valore di tutte le azioni e tutte le obbligazioni non garantite.

SUPER COSTI PER MPS

A complicare il quadro, tutta una serie di problemi aggiuntivi. A cominciare dall’apertura da parte della procura di Siena di un’inchiesta per falso in bilancio e manipolazione del mercato con relativi avvisi di garanzia all’ex presidente Alessandro Profumo e all’attuale amministratore delegato, Fabrizio Viola. L’ad, tra l’altro, secondo indiscrezioni potrebbe presto essere sostituito, anche se nomi pronti non sembrano essercene. L’indagine è “un atto dovuto per i vertici di Siena – commenta Pons su Repubblicama che in questa fase così delicata non aiuta, soprattutto quando si chiedono al mercato tanti soldi senza un nuovo piano industriale“. Quest’ultimo lo stanno predisponendo gli esperti di McKinsey, gli ennesimi consulenti che gravitano intorno alla banca senese e che vengono pagati con corpose commissioni. Di tutte le difficoltà di Mps, scrive Pons su Repubblica, “sono consapevoli le principali banche che compongono il consorzio di pre-garanzia dell’aumento, a partire da Jp Morgan che ha fornito il suo supporto anche a un prestito ponte da 6 miliardi in cambio di laute commissioni. Sul mercato si dice che queste siano pari al 4,75% sull’aumento di capitale e al 6% per il prestito ponte, in totale quasi 600 milioni di fees che ingrasserebbero i bilanci delle banche del consorzio“. Le stesse banche, però, aggiunge Pons, “sarebbero pronte a sfilarsi se l’esito del referendum costituzionale previsto in autunno sarà tale da mettere in difficoltà il governo Renzi o se nella fase di pre marketing la risposta degli investitori fosse giudicata troppo fredda“. Ecco perché, secondo quanto risulta a Repubblica, “il consorzio capeggiato da Jp Morgan e Mediobanca starebbe cercando un “anchor investor”, un investitore con credibilità internazionale che metta sul piatto da solo un bella cifra per Mps e riduca così l’ammontare di capitale da chiedere al mercato“. Insomma, è evidente che si stanno valutando tutte le possibilità per rimettere Mps in carreggiata: dall’aiuto di un investitori forte alla conversione degli obbligazionisti subordinati.

IL RITORNO DI PASSERA?

Secondo Pons, in questo modo, “si sta andando nella direzione del piano che aveva pensato (ma non era riuscito a presentarlo al board) Corrado Passera insieme a Ubs, che prevedeva un aumento di 2,5-3 miliardi di cui una gran parte veniva garantito da investitori del private equity (si dice americani) pronti a investire fino a 2 miliardi“. Tra l’altro, il progetto disegnato dall’ex ministro dello Sviluppo ora disoccupato sembrava prevedesse anche la conversione volontaria in azioni delle obbligazioni subordinate. Secondo Pons, non si può escludere, a questo punto, “che Passera e Ubs a un certo punto possano tornare in gioco mentre alcuni investitori londinesi non si spiegano perché Renzi non voglia prender di petto la situazione e procedere a un bail-in controllato in cui tutti i titoli subordinati (per circa 5 miliardi) vengano convertiti in azioni Mps, come prevedono le nuove regole europee, garantendo fin da subito il rimborso del capitale ai risparmiatori che non gradissero questa soluzione“. Insomma, il tempo stringe e l’ipotesi di una conversione delle obbligazioni subordinate, in un modo o nell’altro, sembra destinata a diventare realtà.


×

Iscriviti alla newsletter