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Mps, tutti gli ostacoli per Viola sull’aumento di capitale

Anche sotto il sole di metà agosto, c’è una storia finanziaria che non manca di riservare colpi di scena: Monte dei Paschi di Siena. E il motivo per cui gli affari all’ombra di Rocca Salimbeni non si fermano mai è semplice: la banca senese guidata da Fabrizio Viola, dopo che non ha superato gli stress test di fine luglio, è stata costretta a mettere a punto un ambizioso piano per riportare i conti in sicurezza. Un piano che poggia su due pilastri: la cessione di un maxi pacchetto di sofferenze dal valore lordo di 27,7 miliardi di euro e al prezzo di 9,2 miliardi (10,2 il valore netto nel bilancio della banca) e un successivo aumento di capitale da 5 miliardi.

LE INCOGNITE

Si tratta di un’operazione complessa e delicatissima che presenta svariate incognite. Innanzi tutto, c’è la questione della vendita del pacchetto di sofferenze: poiché gran parte dell’operazione, per 6 miliardi, consiste nella cessione di obbligazioni senior (meno rischiose) con garanzia pubblica Gacs, i tempi della procedura sono lunghi (mancano, per esempio, i giudizi delle agenzie di rating). Ma Mps non può aspettare e deve intervenire subito, motivo per cui quei 6 miliardi inizialmente li anticiperà Jp Morgan, che insieme a Mediobanca è consulente dell’intero piano. Soprattutto, però, c’è l’incognita del successo dell’aumento di capitale della banca, che nelle intenzioni dovrebbe concretizzarsi tra ottobre e novembre. In questo modo, si andrebbe a cavallo del referendum costituzionale: una miscela di fattori che, a seconda dell’esito, potrebbe rivelarsi esplosiva per il premier Matteo Renzi. Non a caso, qualche giornale ha ipotizzato nei giorni scorsi che il governo stia studiando una sorta di piano B per mettere le mani avanti nel caso in cui l’aumento di capitale di Mps non dovesse avere successo. L’alternativa sarebbe, infatti, quella di fare scattare una risoluzione con le regole del bail-in, che rischierebbe di penalizzare azionisti e obbligazionisti non garantiti.

BANCHE D’AFFARI

Proprio in relazione alla ricapitalizzazione, c’è il problema delle banche d’affari che garantiscono l’operazione. La semestrale di Mps riporta: “Jp Morgan e Mediobanca, con il ruolo di joint global coordinators e joint bookrunners, e Banco Santander, Bofa Merrill Lynch, Citigroup, Credit Suisse, Deutsche Bank, Goldman Sachs International hanno sottoscritto un accordo di pre-underwriting avente ad oggetto l’impegno a sottoscrivere un accordo di garanzia per la sottoscrizione delle azioni di nuova emissione, eventualmente rimaste inoptate al termine dell’asta dei diritti inoptati per un ammontare massimo di 5 miliardi di euro”. Si tratta dunque soltanto di una “pre-garanzia”, il che potrebbe implicare che gli istituti si tirino indietro all’ultimo momento (una cosa simile è accaduta con Unicredit per l’aumento di Popolare di Vicenza e con Intesa Sanpaolo per la ricapitalizzazione di Veneto Banca). Le condizioni cui la pre-garanzia è soggetta, spiega sempre la semestrale, sono “in linea con la prassi di mercato per operazioni analoghe nonché, tra l’altro, al buon esito del deconsolidamento dell’intero portafoglio di crediti in sofferenza e dell’attività di marketing presso gli investitori”. Insomma, tra le altre cose, la garanzia è legata al successo della vendita del maxi pacchetto di sofferenze, che come si è detto non è esente da problemi. Inoltre, secondo quanto riportato da Andrea Greco su Repubblica del 14 agosto, “il consorzio è già arrivato a 11 banche: a Santander, Bofa-Merrill Lynch, Citi, Credit Suisse, Deutsche Bank, Goldman Sachs, si sono aggiunte Commerzbank, Bbva, Jefferies. E forse altre ci saranno, tanto è grande il rischio da dividersi”. Un bel rebus.

MAXI SPESE

Nonostante le varie difficoltà dell’istituto senese, se riusciranno a completare con successo l’operazione, le banche d’affari si porteranno a casa parecchi soldi. L’8 agosto, l’agenzia Reuters calcolava che “il piano di emergenza, disegnato da Mediobanca e Jp Morgan per salvare la banca, costerà a Siena circa 250 milioni di euro di commissioni di underwriting (sottoscrizione, ndr) per il previsto aumento da 5 miliardi, secondo tre fonti coinvolte nell’operazione. Questa cifra si somma ai circa 400 milioni di euro che la banca ha pagato negli ultimi due anni per altri aumenti di capitale e rende Mps uno dei maggiori pagatori di commissioni in Europa. Non ci sono certezze – aggiunge Reuters – che il piano proposto vada in porto e che quindi le commissioni vengano effettivamente pagate, ma se avesse successo, Monte dei Paschi, che capitalizza circa 800 milioni di euro, ne avrà pagati circa 1.000 di fee”.

NUOVI PROBLEMI

Ma ci sono altri esborsi che potrebbero attendere il Monte. Dalla semestrale emergono richieste di danni da 283 milioni da parte dei soci con l’accusa principale di avere tratteggiato, negli anni scorsi, una situazione più rosea di quella effettiva. Tra questi azionisti c’è Coop Centro Italia, per anni socia con quasi il 2% della banca di Rocca Salimbeni, che, insieme con la controllata Coofin srl, ha citato Mps per danni davanti al tribunale di Firenze “assumendo essenzialmente la falsità dei prospetti informativi” degli aumenti di capitale del 2008 (quello da 5 miliardi per comprare Antonveneta), del 2011 (2,1 miliardi) e del 2014 (5 miliardi). Resta quindi fuori quello del 2015, da 3 miliardi, mentre, come detto, aleggia un’incognita su quello da 5 miliardi dell’autunno del 2016. La storia della banca senese è destinata a riservare ancora altre sorprese.



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