Carissimo Marcello,
il ricordo vivo delle nostre conversazioni, delle comuni riflessioni di cui mi hai onorato più volte anche durante il gravoso impegno di presidente del Senato, mi spinge a rassegnarTi tutto il mio stupore per la posizione che hai assunto in ordine alla valutazione della riforma costituzionale ed al voto in occasione del referendum.
Dal punto di vista dei contenuti cosa ha che fare questa riforma con il Tuo rigore scientifico e istituzionale, con il Tuo amore per la democrazia quale libera selezione del merito e severa custode di principi e di volontà popolari?
Se, come non dubito e come affermi, ne hai letto l’articolato e ne hai seguito il dibattito parlamentare, avresti da subito dovuto manifestare tutto il Tuo disappunto per un testo illeggibile, che rompe ogni equilibrio di rappresentanza democratica, che trasforma il Senato, il Tuo Senato, in un sottogoverno di nominati in palese conflitto di interessi e sovrapposizione di incarichi non per scelta di sovranità popolare, ma per decisione di segreterie e locali conventicole, che risponde solamente al capriccio di un ormai purtroppo imperante riformismo verbale avulso dalla valutazione dei contenuti.
E qui non si tratta di una legge ordinaria, ma di una riforma della Costituzione che, non puoi non averlo rilevato, tra gli altri difetti rende la stessa ancor più rigida di quanto oggi non sia.
Un pasticcio dove trovano rango costituzionale argomenti normalmente oggetto di fonte normativa secondaria o addirittura regolamentare, dove, legittimati dalla dominante sciatteria istituzionale, si è anche giunti al paradosso di prevedere individuazioni personali del ruolo senatoriale.
E di molte altre assurdità sono pronto a discutere con Te, con la schiettezza e l’onestà intellettuale con cui sempre abbiamo discusso.
Dal punto di vista della responsabilità legislativa come può, chi sa valutare al grammo il peso di parole e di concetti, promuovere una riforma sul semplicistico “anche pessima, purché si faccia”?
Tu certamente sai che io non l’ho fatto in nessuna fase del dibattito, pur essendo la riforma approdata in Assemblea nel breve periodo in cui ho valutato di dover sostenere questo governo, ho dichiarato il mio aperto dissenso sui suoi contenuti e sul metodo, e di questo parlerò in conclusione.
Ho evidenziato la falsità del presupposto di risparmio di spesa, nei numeri, nella becera demagogia sottostante e nella mancata volontà di voler veramente raggiungere questo risultato incidendo anche su altre istituzioni, dal Parlamento, alle Regioni, alle Province (che sono rimaste tali e quali), ai Comuni e così via.
Ho evidenziato la non vera eliminazione del bicameralismo, e Tu benissimo conosci come, per raggiungere eguali ed anche migliori risultati in termini di rapidità delle procedure, sarebbe stata sufficiente una modifica dei regolamenti Parlamentari.
Ho evidenziato la dirompente scelta di consegnare il Senato e le residue, ma non irrilevanti (basti pensare al voto sulle leggi di modifica della Costituzione), potestà legislative e istituzionali in mano alla classe politica regionale, senza passare dal voto popolare, violando così palesemente la sovranità popolare sancita dall’articolo 1, e generando infiniti conflitti di interesse quando i nuovi senatori saranno chiamati a valutare leggi che impattano sull’attività del loro altro incarico di consiglieri regionali o di sindaci, e per questi ultimi anche del loro possibile terzo incarico di presidente di provincia o di città metropolitana. Nella Babele delle istituzioni italiane ci mancava anche questa riforma e le sue connessioni con la nuova legge sulle province!
Ho evidenziato la mancata opportunità di un intervento sul Titolo V per una vera riforma delle forme di governo del territorio che portasse ad una reale diminuzione della spesa pubblica e ad una reale semplificazione dei rapporti tra cittadino ed istituzioni pubbliche che sono il vero grande problema di questo nostro paese, ma che non rispondono alla concezione politica del partito che oggi lo governa.
Non entro in altri dettagli, ed in molte altre motivazioni che devono spingere ogni sensato cittadino, nella sua prossima veste di decisore delle sorti della legge fondamentale, a votare con convinzione NO al referendum, da me personalmente promosso per la raccolta di firme in Senato.
Sul piano politico infine non sono di quelli che voteranno NO perché così Renzi si dimette, primo perché non credo che lo faccia (quante bugie gli abbiamo sentito dire!), secondo perché spero sempre che possa andarsene ancor prima, terzo perché la vittoria del NO non può essere una vittoria politica in senso spicciolo, ma deve essere una vittoria della politica della ragione e del buon senso.
A questo proposito vorrei dirTi che buon senso vorrebbe che non ci si esercitasse sul differente voto di Forza Italia tra la prima e la seconda lettura della riforma, lo dico forte proprio di chi questa riforma non la ha mai votata e che non lo avrebbe fatto neanche su invito del partito. Come osservatore “esterno” posso dirti che in seconda lettura mi sono esercitato nel proporre emendamenti che riportassero il testo alla prima lettura dove Forza Italia aveva votato a favore e ne ho dovuto predisporre oltre una cinquantina ai quali vanno aggiunti quelli sulla elezione diretta dei Senatori, argomento sul quale Forza Italia ha sempre dichiarato come essenziale per il suo voto positivo in fase finale. Naturalmente tutte le proposte sono state bocciate, il testo è rimasto quello assai diverso dal primo e quindi sarebbe saggio non limitarsi a considerare il tipo di voto ma anche le diversità di contenuti dei due testi ed i temi di fondamentale divergenza. (Ed ancor più, Ti sorprendo a banalizzare la questione sul nome del Capo dello Stato!).
Per questo è facile dare risposta al quesito che molti Ti pongono e che, con molti altri, strumentalmente Tu poni a Stefano Parisi, il quale, come io sono stato, è assolutamente libero nel suo negativo giudizio e, come io sono stato e sono, è comunque propositivo sulla opportunità di modificare la nostra Costituzione non anticipando soluzioni, ma intervenendo sul metodo, che è quello di una nuova Assemblea Costituente.
Eletta a tal fine, libera da condizionamenti di governabilità, proporzionale nella rappresentanza, rapida nelle conclusioni, i cui tempi sarebbero ancor più veloci dei tempi di una complicata attuazione nella deprecabile ipotesi che questa riforma venisse approvata in via definitiva.
Con eccesso di presunzione avevo sperato che, anche leggendo in corso d’opera i miei interventi, Tu, dall’alto della Tua esperienza parlamentare e soprattutto del Tuo rigore intellettuale, avessi maturato pacate ed eguali riflessioni e fossi arrivato anche Tu alla conclusione che votare NO al referendum è nell’interesse di tutti noi e che il referendum non è l’ultima spiaggia delle riforme.
Oggi voglio sentirmi anch’io un po’ lucchese e chiederTi, Marcello, perché?
Antonio D’Alì è vice presidente del Gruppo di Forza Italia in Senato. Senatore promotore della raccolta per la sottoposizione a Referemdum popolare della Riforma Costituzionale