Dopo il via libera della Cassazione al referendum costituzionale del prossimo autunno, Matteo Renzi si è detto convinto, molto spavaldamente, che per far vincere il sì “basterà entrare nel merito” della riforma. Strano che a dirlo sia proprio lui, che non ha mai voluto affrontare in pubblico una discussione sui contenuti della riforma della Costituzione, rifugiandosi prima in facili slogan e poi, da diverse settimane, in un insolito silenzio. Il motivo di tale prudenza è molto chiaro: la riforma, così com’è, è indifendibile nel merito perché non realizza ciò che promette.
Innanzitutto, non è vero che la riforma costituzionale rafforza la stabilità del governo. Essa, infatti, non va a modificare in alcun modo la forma di governo e dunque ad aumentare effettivamente i poteri del premier, ma si limita soltanto a sottrarre al Senato il rapporto fiduciario con l’esecutivo. Anche il secondo obiettivo della riforma, quello di rendere più efficiente il procedimento legislativo, rimane irrealizzato. Con la nuova Costituzione non esisteranno leggi monocamerali, ma tutte le proposte di legge avanzate dalla Camera continueranno a essere sottoposte anche all’analisi del Senato, in via facoltativa o obbligatoria. L’iter legislativo, piuttosto che essere semplificato, viene complicato in maniera incomprensibile attraverso la previsione di una pluralità di procedure, ognuna basata su un diverso grado di partecipazione proprio del Senato.
Occorre prendere atto, poi, che nel quadro dei rapporti tra Stato e regioni, si è di fronte a una riforma assolutamente centralistica. Il nuovo Senato dovrebbe servire a “rappresentare le istanze territoriali”, ma non viene posto nelle condizioni per portare avanti questo compito, sia perché non avrà poteri effettivi nell’approvazione di molte leggi di interesse regionale, sia perché sarà composto da senatori che, invece di riprodurre il valore delle autonomie locali, saranno espressione dei meri equilibri politico-partitici. Senza dimenticare, infine, il riconoscimento alla Corte costituzionale del potere di esprimersi preventivamente sulla legge elettorale: un vero e proprio sconfinamento dell’organo giudiziario su quello politico-legislativo.
Lungi dall’essere “la più bella del mondo”, la Costituzione italiana appare inadeguata ad affrontare le sfide del presente, ma non è certo con una riforma pasticciata che si risolveranno i problemi.