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Perché Erdogan cerca una sponda nella Russia di Putin

RECEP TAYYP ERDOGAN MINISTRO TURCO

Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan incontra martedì 9 agosto a San Pietroburgo l’omologo russo Vladimir Putin. Nella prima visita presidenziale all’estero dopo il fallito colpo di stato del 15 e 16 luglio, e dopo mesi di tensioni che hanno accompagnato i rapporti tra i due Paesi, Ankara cercherà in Russia una sponda diplomatica: “Una brusca inversione di tendenza nei rapporti”, ha definito l’incontro il Wall Street Journal.

IL QUADRO ATTORNO AL VIAGGIO

Il viaggio arriva in una fase complicata del governo Erdogan. Il presidente è impegnato in una serie di arresti di massa ed epurazioni contro soggetti accusati spesso arbitrariamente di essere coinvolti nel presunto golpe (migliaia di dipendenti pubblici sono stati licenzianti, così come migliaia di membri delle forze armate, centinaia di giornalisti e dirigenti scolastici): una situazione che ha ulteriormente annacquato i rapporti tra il leader e l’Occidente, mentre su Europa e Stati Uniti gravano le accuse dell’inner circle del potere turco per aver aiutato i golpisti. Erdogan e Putin sono accomunati proprio da queste relazioni complicate con i Paesi occidentali, oltre che dalla crisi economica e dalla deriva pseudo-dittatoriale della propria amministrazione, per cui è necessaria una continua retorica propagandistica per garantirne l’equilibrio. Domenica decine di migliaia di persone sono scese in piazza a Yenicapi, Istanbul, per fornire il proprio sostegno a Erdogan in una manifestazione in cui sono stati anche ricordati i morti prodotti dagli scontri durante il colpo di stato; in piazza anche le opposizioni, eccezion fatta per i curdi, considerati dal governo ancora in cima alla lista dei nemici, tagliati fuori dalla realtà sociale turca, e non solo i gruppi combattenti come il Pkk. “Un regime che è passato dal golpe al contro-golpe, la persona diluita nella massa, lo stato solidificato in una persona”, ha scritto Mario Sechi, citando Elias Canetti a proposito della richiesta dei lealisti di Erdie di reinserire la pena di morte contro i golpisti: “Il vero boia è la massa. (…) La condanna capitale che, inflitta in nome del diritto, suona astratta e irreale, diventa vera quando è eseguita dinnanzi alla moltitudine”. La questione della pena di morte è una sorta di gioco politico con cui Erdogan vuole rivendicare la propria indipendenza politico-ideologica dall’Occidente.

LO STRAPPO E IL RIAVVICINAMENTO

Riavvicinamenti erano già in atto da alcuni mesi, dopo che da quasi un anno le relazioni avevano toccato i minimi storici a causa dell’abbattimento del jet russo da parte dei caccia di Ankara mentre il velivolo inviato da Mosca stava compiendo operazioni in Siria. Il Cremlino aveva più volte accusato i turchi di finanziare il terrorismo, Ankara rispondeva denunciando i crimini di guerra russi: ancora una volta determinante è stata la guerra civile globale siriana. La Russia è impegnata a coordinare in modo completo l’attività di mantenimento al potere di Bashar el Assad, giocando un ruolo fondamentale nel sostentamento nel regime (ultimo episodio: l’apporto durante la battaglia di Aleppo in corso); la Turchia (anche per i rapporti personali pessimi tra Erdogan e Assad) s’è impegnata fin dall’inizio della guerra a dare sostegno ai ribelli che combattono contro il regime di Damasco. L’avvicinamento può avere anche questo senso: un tentativo di Mosca di cercare di ammorbidire le posizioni di Ankara sul rais siriano, per trovare ancora più spazio ai tavoli negoziali come sul fronte operativo: attività del genere sono già state avviate dai russi nei confronti dell’Arabia Saudita, per esempio, altro stato che ha sostenuto le opposizioni. Vicenda collegata: la Turchia ha riaperto le relazioni con Israele, con cui la Russia ha un accordo tra il formale e l’informale per la gestione della guerra in Siria.

L’ANALISI

“La riconciliazione di Russia e Turchia è da vedersi in chiave puramente utilitaristica da entrambe le parti”, spiega a Formiche.net Marta Ottaviani, giornalista di Stampa e Avvenire, da pochi giorni rientrata da Istanbul, dove spesso è inviata; a settembre sarà in edicola con il suo nuovo libro “Reis. Come Erdogan ha cambiato la Turchia” (Textus Edizioni). “Mosca vuole aumentare la sua sfera di azione in Medio Oriente – continua Ottaviani –, infastidire gli Usa e cercare di tamponare la situazione in Siria. La Turchia rischia di essere messa in ginocchio economicamente e soprattutto vuole fare capire ad Ue e Usa che la loro alleanza non è più esclusiva. In realtà Erdogan non si rende conto del fatto che rischia solo di fare il burattino nelle mani più pericolose di tutte. Mosca serve molto di più ad Ankara che non viceversa. Il presidente turco continua a giocare su più tavoli ma non si rende conto che da nessuna parte ricopre un ruolo di primo piano, al contrario deve accodarsi a chi è più potente di lui. Questo dovrebbe fare riflettere soprattutto Bruxelles, sostanzialmente inerme davanti alla condizioni poste sull’accordo sui migranti, sempre più simili a un ricatto. Dove per altro la Turchia, in caso di naufragio dell’intesa, ha solo da perderci”.

L’ECONOMIA OFFUSCA LA GEOPOLITICA

I funzionari turchi che hanno parlato in questi giorni con i vari media internazionali hanno spostato l’attenzione sul valore economico-commerciale del viaggio, dopo che la crisi diplomatica aveva rotto le intese tra i due paesi (un esempio: le restrizioni imposte dai tour operator russi hanno ridotto del 40 per cento il turismo in Turchia; dati di giugno). Economia, dunque, interessi come il Turkish Stream (il gasdotto della Gazprom che potrebbe trasformare la Turchia in un hub energetico per mediterraneo e realizzare l’aspirazione russa di trasportare il gas naturale in Europa aggirando l’Ucraina), piuttosto che argomentazioni geostrategiche, dicono i funzionari turchi, che garantisco in forma anonima, per esempio al WSJ, che “non abbiamo nessuna intenzione di sostituire la politica estera Nato-linked con una filorussa”. Ma è evidente che il riflesso geopolitico esiste: “L’Occidente a disagio, mentre Russia e Turchia si avvicinano” ha titolato il Financial Times.

I GUAI PER L’OCCIDENTE

La Turchia rappresenta il secondo esercito della Nato, ospita le bombe atomiche strategiche americane nella grande base di Incirlik, mentre il suo presidente flirta con il burattinaio Putin, che in questa fase di governo sta orchestrando provocazioni più o meno aperte contro l’Alleanza: sono queste le preoccupazioni del quotidiano economico londinese, “che fare con la Turchia?” è la scomoda domanda. Un po’ oltre il concetto di provocazioni russe: cercare di spostare l’inclinazione dell’asse turco verso oriente, soprattutto in un momento in cui Ankara è indispettita dalla risposta negativa americana sulla richiesta di estradizione del predicatore Fetullah Gulen, che vive esiliato autoimposto in Pennsylvania. La Turchia lo ritiene il mandante del golpe, ma Washington dichiara di non aver ricevuto prove sufficienti per procedere all’estradizione: soprattutto, gli americani sono preoccupati che, stante la deriva autoritaria e le purghe imposte da Erdogan – su cui anche altri alleati occidentali della Turchia hanno espresso preoccupazione –, Gulen sia la testa che salta (da intendersi anche letteralmente) come simbolo di un rafforzamento definitivo della presa del presidente sul paese, decapitando le opposizioni; il primo ministro Binali Yildirim ha detto che la Turchia ha “il cuore spezzato” a proposito della posizione degli Stati Uniti (Mosca la consolerà).


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