Skip to main content

Tutte le critiche interessate dei giornali esteri sui conti pubblici italiani

La frenata dell’economia italiana sta offrendo lo spunto per nuovi attacchi da parte di alcuni organi della stampa internazionale. Da parte spagnola (il giornale spagnolo El Pais ha definito l’Italia “la nuova malata d’Europa che potrebbe trascinare il continente in una ricaduta nella crisi”), gongolando per un andamento nettamente positivo del secondo trimestre, si suona la grancassa, additando il Belpaese come la zavorra d’Europa.

Con una impudenza senza limiti, si dimentica che la Spagna è da anni sotto procedura per deficit eccessivo, e che la Commissione europea non ha voluto infierire multando un Paese senza governo dopo ben due tornate elettorali non ha voluto maramaldeggiare nei confronti di un bilancio pubblico che ha aumentato il Rapporto debito/pil di ben 29,6 punti percentuali tra il 2011 ed il 2016, quando la vituperata Italia lo ha peggiorato della metà, di 16,5 punti per la esattezza. Dimenticando che è stata la crisi bancaria spagnola ad aver acceso l’incendio della speculazione nella estate del 2011. E, naturalmente, sorvolando sul fatto che l’Italia ha dato il suo contributo al salvataggio del sistema bancario spagnolo, indebitato con quello tedesco ma non con il nostro, partecipando al finanziamento del Fondo Esm. A Madrid gonfiano il petto di gloria, quando la loro crescita dipende da un deficit  pubblico ben superiore al 3% e ad un saldo primario negativo.

Trascuriamo per una volta le considerazioni della stampa di Oltreoceano. Gli Usa hanno ben poche lezioni da impartire, considerando che il debito federale ha raggiunto quest’anno il 107% del pil, un livello quasi doppio rispetto al 2007, e che il disavanzo delle partite correnti accumulato tra il 2011 ed il 2016 è pari al 15,9% del pil. L’Italia, massacrata dalle manovre fiscali e senza avere la Fed che dal 2008 in avanti si è fatta acquirente del debito federale rimborsando al Tesoro pure gli interessi incassati al netto delle commissioni d’uso, ha visto il rapporto debito/pil aumentare dal 103% al 130%, pur perdendo il 10% del pil ed un terzo degli investimenti.

Convincono ancor meno alcune critiche interne, che stigmatizzano la litigiosità delle imprese che partecipano ai pubblici appalti e la neghittosità degli imprenditori che non hanno investito in nuove iniziative industriali il provento delle vendite di asset consistenti ad acquirenti stranieri.

Il perché è ovvio, basta leggersi i documenti di finanza pubblica. Le retribuzioni pubbliche, a legislazione vigente, scendono continuamente. Così come si riducono i consumi intermedi e gli investimenti pubblici. Le imprese ridotte al cannibalismo, con i margini ridotti all’osso se non negativi, per via dei tempi di pagamento della Pa.

Se il deficit è del 2,7% del pil, il peso degli interessi è ancora pari al 4% del pil. Il bilancio pubblico prevede un saldo primario dell’1,3%: lo Stato incassa più di quanto restituisce all’economia reale per pagare una quota degli interessi sul debito. Il deficit serve a pagare la restante parte degli interessi, e non a finanziare investimenti.

Il debito pubblico andava abbattuto con misure straordinarie già nel 2011. Si è preferito traccheggiare, fare manovre recessive per ridurre i salari e dare così competitività al sistema economico. Ora il sistema si è piantato, mentre il debito pubblico non è mai stato così alto.

E dobbiamo pure subire lo svillaneggiamento di coloro che abbiamo beneficato. Abbiamo poche risorse, ma buona memoria. Una ben magra consolazione.


×

Iscriviti alla newsletter