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Che cosa fa la Turchia di Erdogan in Siria

Erdogan

L’artiglieria turca e le forze della coalizione internazionale a guida Usa hanno lanciato, questa mattina all’alba, l’offensiva a Jarablus, cittadina siriana al confine con la Turchia, per strapparla all’Isis. Lo ha annunciato l’ufficio del primo ministro turco all’agenzia Anadolu. L’attacco, scrive l’Anadolu, ha l’obiettivo di cancellare le organizzazioni terroristiche al confine della Turchia e aumentare il livello della sicurezza alle frontiere per dare sostegno all’integrità territoriale siriana.

IL PERCHE’ DELL’AZIONE

Il recente attentato di Gaziantep, presumibilmente riconducibile allo Stato islamico secondo Ankara, ma non ancora ufficialmente rivendicato dal califfato, è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso: il casus belli che ha spinto il presidente Recep Tayyip Erdogan a intensificare l’impegno militare della Turchia nel complesso conflitto siriano. Ripulire i confini turco-siriani dai miliziani dell’Isis, che turbano la precaria stabilità del vecchio impero ottomano, e condurre un’offensiva sulla città siriana di Jarablus. Questo quanto previsto dall’agenda del governo turco al momento, ma non solo. Dopo gli sforzi profusi per ricucire i rapporti con Gerusalemme (qui l’articolo di Formiche.net) e, più recentemente con Mosca (qui l’articolo di Formiche.net), Ankara ha avuto a che ridire con Vienna. Da qui la decisione di richiamare il suo ambasciatore impegnato in Austria.

Nel frattempo, oggi, il vicepresidente degli Stati Uniti, Joe Biden, è in Turchia. E’ il primo leader della coalizione occidentale a visitare il Paese dopo il fallito colpo di Stato dello scorso 15 luglio. La Casa Bianca vuole ribadire l’importanza dell’alleanza con Ankara, anche alla luce del recente riavvicinamento tra Erdogan e Putin.

LA REPLICA DEI CURDI

“Se i turchi continueranno ad avanzare in territorio siriano, allora i curdi certamente si scontreranno con loro. Se i turchi aumenteranno la loro
presenza, sarà inevitabile”: lo ha dichiarato il rappresentante del partito dell’unione democratica curdo a Mosca, Abd Salam Ali, definendo “una mera occupazione” l’intervento turco.

GLI OBIETTIVI TURCHI

Lunedì la Turchia ha giurato di “ripulire completamente i suoi confini dai miliziani dello Stato islamico dopo l’attacco suicida, che ha causato la morte di 54 persone, 22 dei quali bambini, durante la celebrazione di un matrimonio curdo, e che si presume sia riconducibile proprio al gruppo terroristico”, scrive l’agenzia Reuters.

“Daesh dovrebbe essere totalmente annientato nei nostri confini e noi siamo pronti a fare ciò che è necessario”, ha affermato il ministro degli Affari esteri turco, Mevlut Cavusoglu, in una conferenza stampa ad Ankara.

Lunedì l’esercito turco ha sferrato diversi attacchi contro lo Stato islamico e, al contempo, ha colpito anche uomini dell’Unità di protezione popolare (Ypg), milizia a maggioranza curda attiva nel Nord della Siria, poiché considerata da Ankara un’estensione del Partito dei lavoratori del Kurdistan (Pkk), un gruppo di ribelli turco-kurdi che è in lotta con il Paese, dagli anni ’80, per conquistare la propria autonomia”, scrive il sito della Bbc. Fonti ufficiali del governo turco hanno giustificato la duplice offensiva affermando che questa si è rivelata necessaria al fine di “aprire un corridoio per i ribelli moderati”, riporta Reuters.

ATTACCARE JARABLUS

Obiettivo di Ankara è, infatti, sottrarre Jarablus dal controllo del califfato. Sopportando i ribelli siriani, materialmente impegnati nell’impresa, la Turchia porterebbe a casa un duplice risultato: non solo ridimensionare la minaccia islamista alle porte del Paese, ma anche impedire alle forze kurdo-siriane di entrare nella città poco distante da Manbij. Non a caso è da lunedì che “l’esercito turco bombarda posizioni dell’Unità di protezione popolare collocate vicino Manbij, città che proprio l’Ypg ha recentemente liberato dall’Isis”, riporta il sito della Bbc.

“I ribelli siriani, battenti bandiera dell’Esercito libero siriano, è previsto attacchino Jarablus dalla Turchia, nei prossimi giorni”, si legge su Reuters. “Al momento ci sono 10 carri armato turchi schiarati in un villaggio a circa 4 km di distanza dal confine e non è chiaro da quanto tempo si trovino lì”.

Il primo ministro turco, Binali Yilidirm, ha affermato che nei prossimi sei mesi l’impegno turco in Siria sarà maggiore, al fine di evitare che il Paese resti coinvolto in una guerra settaria.

LA TURCHIA È L’OBIETTIVO NUMERO 1 DELL’ISIS

Il ministro degli Affare esteri Cavusoglu ha affermato che “la Turchia, in quanto Stato membro della Nato e della coalizione guidata dagli Stati Uniti nella lotta allo Stato islamico, è diventata l’obiettivo numero uno del gruppo terroristico, per via dell’impegno profuso nell’impedire a coloro i quali si vogliono unire al califfato di attraversare il confine che la Turchia condivide con la Siria per ben 800 km”, riporta l’agenzia Reuters.

Che lo Stato islamico abbia preso di mira la Turchia, in effetti, lo dimostrano i recenti attentati che nell’ultimo anno hanno insanguinato il Paese, un tempo considerato una delle poche oasi di pace nel Medio-Oriente. A fine giugno tre kamikaze dello Stato islamico hanno ucciso 44 persone all’aeroporto di Istanbul. Nel luglio della scorsa estate, un altro attacco kamikaze, che ha colpito un centro culturale della città di Suruc, città del Sud-Est della Turchia, sempre al confine con la Siria, ha provocato la morte di 32 persone. Infine, lo scorso ottobre, lo Stato islamico ha colpito Ankara, provocando il più grave attentato della storia del Paese. Due esplosioni sono state innescate alla stazione ferroviaria della capitale turca, mentre decine di attivisti si radunavano per partecipare a una manifestazione organizzata da sindacati a tre settimane dalle elezioni anticipate del primo novembre.

LA ROTTURA DIPLOMATICA CON VIENNA

La Turchia ha richiamato il suo ambasciatore in Austria, dicendo di “voler rivedere le relazioni” con Vienna. “Abbiamo richiamato ad Ankara il nostro ambasciatore a Vienna per consultazioni e con l’idea di rivedere le nostre relazioni”, ha detto il ministro degli Esteri turco Cavusoglu.

La decisione è giunta dopo che sabato, a Vienna, si è tenuto un raduno in cui kurdi hanno manifestato in favore del Pkk, partito con cui la Turchia è in lotta da circa trent’anni, e considerato da Ankara un vero e proprio gruppo terroristico. La manifestazione, che ha causato alcuno scontri tra posizioni filo-governative e sostenitori del Pkk, è stata il motivo per cui il capo della diplomazia turco si è sentito autorizzato ad accusare l’Austria di “sostenere il terrorismo”.

Manifestazione a parte, non è questo il primo episodio in occasione del quale la Turchia si trova ad avere da ridire sulla condotta del Paese europeo. L’Austria, infatti, “è, fra i membri dell’Europa unita, quello che più di altri si mostra contrario all’adesione della Turchia all’Unione”. Motivo per cui “la diplomazia turca ha accusato Vienna di razzismo nei confronti della Turchia”, riporta Askanews.

L’Austria, tra l’altro, non ha visto di buon occhio i fermi e gli arresti che il presidente Erdogan ha voluto in seguito al fallito golpe di luglio.


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