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Vi spiego perché la vendita del Milan ai cinesi è stato un affarone per Berlusconi

Chissà come l’avrebbe presa Gianni Brera: un derby della Madonnina sotto il segno della Cina. Da una parte l’Inter, sponsor Pirelli (ovvero ChemChina), controllata da mister Zhang Jidong, il re degli elettrodomestici. Dall’altra il Milan di Han Li e Yongong Li di Sino Europe Investment, partecipata di Haixia Capital, un fondo statale che non si è certo mosso senza il benestare del governo, ovvero dello stesso residente Xi Jinping, grazie appassionato di calcio.

Il grande giornalista, probabilmente, l’avrebbe presa con filosofia anche perché, da grande gastronomo, era un appassionato cultore dell’anatra alla Pechinese o altre leccornie agrodolci che aveva contribuito a far conoscere entro la cerchia dei Navigli. A lui non sarebbe sfuggito che la Lunga Marcia è ormai già compiuta: le trattorie della Bicocca dal lunedì al venerdì si riempiono di ingegneri cinesi della Pirelli, ghiotti di riso.  Anzi, di risotto allo zafferano o con la salsiccia, come si usa in terra di Lombardia, mica della solita ciotola al vapore.

Bando alle metafore gastronomiche: la vendita del Milan ad una cordata cinese ha senz’altro un sapore epocale.

  • Silvio Berlusconi, dopo trent’anni, abbandona la società a lui più cara, quella che, a suo tempo, ha segnato il salto di qualità da imprenditore ricco (molto ricco) a personaggio pubblico, ben noto alla maggioranza degli italiani, utile per la discesa in campo nella politica.
  • Il leader di Forza Italia, dopo vari tentativi di coinvolgere i figli nel futuro del club, ha deciso che la scelta più saggia fosse quella di troncare i legami tra la famiglia e il club: la meravigliosa avventura del Milan resterà associata per sempre al nome di Silvio, non del clan Berlusconi che, a differenza degli Agnelli, non riuscirà probabilmente a diventare una dinastia.
  • Il fondatore di Mediaset si è confermato un formidabile venditore: la cifra strappata al compratore (740 milioni, comprensiva di 220 milioni di debito) è largamente superiore alle stime degli analisti ed alla media di mercato. Tanto per fare un paragone, la Juventus che alle spalle ha cinque scudetti consecutivi negli ultimi cinque anni, capitalizza 291 milioni.
  • Solo Berlusconi (e, forse, Donald Trump) può permettersi di dire, come lui ha fatto poche settimane fa, “perché dovrei dare il Milan ai comunisti che mangiano i bambini?”. Poteva essere la pietra tombale della trattativa. Ma le regole del buon senso comune non valgono per Silvio. Il che non è sempre un vantaggio.
  • In sintesi, cala la bandiera di Berlusconi dalla sede nuova di zecca del Milan al Portello. E potrebbe essere il primo passo di una ritirata annunciata: Fininvest da tempo sta liquidando le partecipazioni non strategiche nella finanza. Eccetto Mondadori, feudo di Marina, e Mediaset, difesa con affanno crescente da Pier Silvio, le altre province dell’impero sembrano destinate a trasformarsi in pure partecipazioni finanziarie al servizio del patrimonio dei futuri eredi. Con il beneplacito del fondatore che, da quel che si sa, non ha speso una sola parola per evitare che il figlio entrasse in collisione con Vincent Bolloré.
  • C’è un filo comune tra l’uscita dal Milan e le ultime mosse di Berlusconi in politica, a partire dall’investitura di Stefano Parisi? Potrebbe esserci, anche se a far previsioni con Berlusconi in genere si sbaglia. Difficile che il fondatore di Forza Italia accetti di andare all’angolo prima che la Corte di Giustizia Europea non gli restituisca l’onore politico macchiato dalla sentenza italiana sui diritti tv.

Assai più facile capire le vere mire dell’imperatore rosso. La Cina, è l’obiettivo dichiarato di Xi, deve diventare una grande potenza calcistica entro la metà del prossimo decennio. Per questo non verranno lesinati investimenti nel vivaio, nella preparazione dei tecnici e nell’educazione del pubblico. Ma anche in una presenza capillare nelle capitali del calcio giocato e della diplomazia del pallone. E da quel punto di vista il Milan, forte di successi sportivi e prestigio, può essere un’ottima scuola. Peccato che non sarà facile vedere Berlusconi e Xi Xinping assieme in tribuna a San Siro. Ma chissà: mai dire mai quando di mezzo c’è lui.

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