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Perché i sorrisetti bersaniani sul referendum non sono degni di Pierluigi Bersani

Pier Luigi Bersani merita indubbiamente gli auguri di compleanno che molti – ma non Matteo Renzi, che pure è da lui sbertucciato continuamente – si sono dimenticati di fargli perché distratti dal rumore procurato dal solito Silvio Berlusconi. Che con i suoi 80 anni ha sommerso e silenziato i 65 compiuti nella stessa giornata dall’ex segretario del Pd e mancato presidente del Consiglio dopo le ultime elezioni politiche, secondo lui non perse, anche se non vinte. Come si faccia poi a spiegare questa cosa a chi lo vide correre per mesi come ostinato candidato a Palazzo Chigi, prima in concorrenza col suo amico di partito Renzi e poi con quelli degli altri partiti o schieramenti, Dio solo lo sa.

Bersani, quindi, come dicevo, merita gli auguri che gli sono invece mancati per distrazione. Ma merita anche un amichevole rimbrotto per come si sta inconsapevolmente prestando, forse per troppa bonomìa, al ruolo di clown che gli affidano sempre più frequentemente conduttori televisivi e intervistatori della carta stampata nel circo della campagna referendaria sulla riforma costituzionale. Di cui si attribuisce la paternità incerta al presidente emerito della Repubblica Giorgio Napolitano e al presidente del Consiglio Renzi e la maternità certa alla ministra, appunto, delle riforme. Che è notoriamente la toscanissima e graziosa Maria Elena Boschi, ancora impegnata mentre scrivo in una missione internazionale di cui gli amici, miei, del Fatto Quotidiano vorrebbero addebitarle le enormi spese perché ne starebbe abusando con lezioni, lezioncine e simili sulla sua riforma costituzionale ai nostri emigrati che voteranno. Numerosi come sono, essi potrebbero rivelarsi decisivi per il risultato del 4 dicembre, quando si dovrà barrare sul sì o sul no della scheda referendaria.

Meno male che Alcide De Gasperi è bello che morto da ben 62 anni, poco meno di quelli che ha Bersani, perché i padri o i nonni degli amici, sempre miei, del Fatto Quotidiano avrebbero preteso che si pagasse di tasca sua il viaggio storico del 1947 negli Stati Uniti. Dai quali egli tornò col prestito americano decisivo per la ricostruzione del Paese dopo la guerra e con la decisione di scaricare dal governo i comunisti. Che rimasero all’opposizione sino al 1976, quando rimisero prima il piedino e poi il piede nella maggioranza di “solidarietà nazionale”, a sostegno di un governo composto di soli democristiani.

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Il ruolo di pur inconsapevole clown quasi quotidianamente affidato a Bersani in questa maledetta e troppo lunga campagna referendaria sulla riforma costituzionale mi rattrista per la simpatia personale che l’uomo mi ha sempre ispirato, anche nei suoi errori, commessi – a mio avviso – in buona fede, senza acrimonia. Adesso, anche se lui non se ne rende conto, gli stanno facendo fare la figura di uno che muore solo dalla voglia di vedere Renzi finito, magari anche lasciandolo al suo posto con le penne bagnate, ridimensionato nel suo ruolo, nelle sue ambizioni, o – come dice sarcasticamente Massimo D’Alema nella sua “arroganza”. Cosa che potrebbe accadere con la bocciatura referendaria di una riforma presentata come la peggiore di questo mondo rispetto ad una Costituzione che Bersani considera se non “la più bella del mondo”, come diceva sino a qualche mese fa, quanto meno “bellissima”. Una Costituzione, pensate un po’, nella quale è consentito che una proposta di legge, o disegno di legge, se presentato dal governo, faccia una spola infinita tra Palazzo Madama e Montecitorio: davvero infinita, sino a morire con la fine del mandato delle Camere, ordinaria o anticipata che sia. E qualche volta è addirittura accaduto che la fine sia stata anticipata o usata anche per interrompere il percorso di qualche proposta o disegno di legge sgradito a chi disponeva al Quirinale del diritto di sciogliere le Camere e mandare gli italiani alle urne.

Ricordo, per esempio, una legge che, approvata dopo il solito, accidentato percorso parlamentare, il mio amico Francesco Cossiga, presidente della Repubblica, si rifiutò di promulgare e rinviò alle Camere che stava per sciogliere. E che quindi non avrebbero avuto il tempo di ridiscutere e rivotare.

Ebbene, questa Costituzione “bellissima” e questo tipo di bicameralismo sono ciò che gli avversari della riforma preferiscono pur di liberarsi di Renzi o di ridurne l’arroganza, secondo la formula, poi, di uno come D’Alema. Che non si può proprio indicare come il campione dell’umiltà.

Vedere e sentire Bersani coinvolto in questo spettacolo, con quei suoi sorrisi e sorrisetti, le sue battute spesso riproposte meglio da Maurizio Crozza, i suoi saltuari e improvvisamente severi ammonimenti, con quel no peraltro mai annunciato in modo netto ma adombrato in maniera tale da essere scambiato per un no certo, quasi obbligato per i tempi che ormai mancherebbero ad una modifica della legge elettorale della Camera. che non fa parte della riforma ma ne aggraverebbe i risultati; vedere e sentire Bersani, dicevo, coinvolto in questo spettacolo è una cosa che lo stesso Bersani non merita.

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Non è migliore la prestazione dell’ex segretario del Pd quando rimprovera a Renzi di andare “dove lo porta il cuore” perché il presidente del Consiglio si è realisticamente convinto che può vincere il referendum contando più sulle divisioni del troppo variegato e contraddittorio ex centrodestra che sul recupero di D’Alema e compagni.

Bersani a furia di inseguire i voti della sinistra, sempre più a sinistra, e di considerare appestati quelli dell’altra parte, si è proposto dopo le elezioni del 2013 di fare un governo insieme di minoranza e di “combattimento”, appeso ai capricci dei grillini. I quali stanno dimostrando proprio in questi giorni in Campidoglio di che cosa siano capaci, sino a far quasi rimpiangere Ignazio Marino e a difenderlo dal rischio che adesso corre di tre anni di carcere e di 500 o 600 mila euro di risarcimento al Comune per come usava al ristorante e altrove la carta municipale di credito.

Per fortuna il buon Giorgio Napolitano al Quirinale impedì all’allora presidente del Consiglio pre-incaricato, prudentemente non incaricato, di realizzare un governo che ci avrebbe ridotto chissà come e portato chissà dove.

Al Bersani dalemianamente schifiltoso preferisco personalmente il suo ex vice segretario di partito, ed ex presidente del Consiglio, Enrico Letta. Che, per quanto disarcionato malamente da Renzi, voterà sì alla sua riforma sperando che possa essere poi migliorata, alla luce degli effetti che produrrà.


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