L’intenzione che sta dietro l’evidentemente errata campagna #fertilityday è giusta. È giusta perché questo è un Paese dove in pieno prime time si sente la giornalista regina dei salotti Tv dire alla quasi 60enne ballerina primipara: “Auguri… guarda come ti somiglia la bambina”. Perché le storie alla Gianna Nannini, Carmen Russo, Heather Parisi e tantissime altre regalano l’illusione che si possa diventare madri quando si vuole, omettendo però che oltre un certo limite gli ovuli non sono i propri. E in più costa caro impiantarli.
Il 90% delle donne – anche 50enni – racconta balle perfino alla migliore amica (per paura che i figli una volta cresciuti vengano a sapere di avere un patrimonio terzo) e non ammette l’eterologa in pubblico, generando illusioni.
Sia chiaro, nell’eterologa non c’è niente di male, i figli sono amatissimi, ma non sempre fa piacere scoprire di non poter trasmettere i propri geni quando è troppo tardi. Io la campagna l’avrei fatta sul congelamento degli ovuli a vent’anni. Che costa poco e preserva la fertilità nel tempo, oltre che in caso di malattia.
L’avrei fatta sull’endometriosi, che poche conoscono ed è causa di sterilità. L’avrei fatta sulla sterilità maschile, diffusissima ma, come dimostra anche questa campagna, ancora tabù e spesso causa di frustrazione femminile immotivata (le donne si addossano sempre la responsabilità).
La campagna l’avrei fatta per rendere possibili tante scelte consapevoli. Perché i contesti professionali precari rubano la lucidità di pensiero; e non è giusto. Accettiamo la verità scientifica: il corpo non torna indietro. Che piaccia o no ai politically correct. E quando è troppo tardi (per chi i figli li avrebbe voluti ma era indotto a rimandare) scaricare su un cattivo welfare non aiuta a rimarginare la ferita. Mentre chi non li ha voluti non deve venire bombardato da parole sbagliate.
Avevo già scritto tutto in questo servizio di qualche anno fa. Che fu naturalmente contestato dai benpensanti.