La ricerca sanitaria, in maniera più diretta di altre, ci propone con forza, sotto gli occhi, il potere della conoscenza come strumento di miglioramento delle condizioni umane e di servizio democratico alla società. Salva storie, incide sulla qualità della vita delle persone, aiuta i deboli, schiude e scopre la speranza. In una fase politica in cui nel nostro Paese la ricerca è tornata prepotentemente al centro dell’agenda dei decisori pubblici, discutere di ricerca sanitaria significa affermare il valore della scienza nell’affrontare le sfide globali che interesseranno tutti i Paesi da qui ai prossimi vent’anni: la qualità dell’invecchiamento, la prevenzione delle malattie croniche, la promozione di corretti stili di vita. Forte anche di un sistema sanitario all’avanguardia, l’Italia può assumere un ruolo da protagonista e rappresentare un punto di riferimento internazionale in questa missione. Le eccellenze che in questo settore abbiamo prodotto e continuiamo a produrre, nelle università come negli enti pubblici di ricerca, negli Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico come nelle imprese, vanno dunque sostenute con scelte politiche all’altezza del talento e delle ambizioni dei nostri ricercatori, preparando – e in alcuni casi affermando e consolidando – una leadership europea già pronta alla competizione globale.
È per questo che nel Programma nazionale della ricerca, un piano triennale da 2,5 miliardi di euro per un masterplan organico del settore, la salute viene individuata tra le quattro aree prioritarie sulle 12 indicate in linea con il programma comunitario Horizon 2020 e con la Strategia nazionale di specializzazione intelligente. Guardiamo a questo settore come a un’area tecnologica cui dedicheremo interventi di sostegno per la costruzione di competenze in stretta sinergia con il mondo privato. Valorizzeremo le key enabling technology per creare posti di lavoro altamente qualificati e incoraggiare gli investimenti in ricerca e sviluppo, ancora troppo bassi complessivamente. Continueremo a finanziare anche il cluster tecnologico nazionale delle Scienze della vita, credendo molto in queste infrastrutture permanenti per il dialogo tra università, enti pubblici di ricerca e imprese, e tra centro e territori.
È qui che si incontrano e cooperano il pubblico e il privato, in un’alleanza per l’innovazione in questo campo davvero strategica, indispensabile per conseguire sia successi industriali a vantaggio di aziende e lavoratori, sia avanzamenti scientifici a beneficio di medici, ricercatori e pazienti. Scommettere su questo binomio non implica però una rinuncia a investire sulla ricerca di base. Per molto tempo si è ritenuto, sbagliando, che questo tipo di ricerca non avesse risvolti concreti. Si è così confusa la praticità, il pragmatismo con l’immediatezza, la dedizione per l’ignoto con una attività quasi di elucubrazione speculatoria. E invece, sostenere la ricerca di base, anche per le imprese, aiuta a incrementare il capitale e il potenziale scientifico di una comunità, crea le precondizioni per quei cambi di paradigma che permettono all’industria di rispondere alle sfide mutevoli della società.
La ricerca sanitaria ha poi bisogno di adeguate infrastrutture di ricerca, di strutture e di laboratori che possano fungere da fattori critici di successo e di concorrenza con gli altri Paesi. È all’interno di questa esigenza che si inserisce la prospettiva prestigiosa aperta dallo Human Technopole, il progetto per la nascita di un polo di livello internazionale dalla potenza attrattiva straordinaria. Un passo in avanti per iniziare a costruire l’Italia del 2050, con un’identità innovativa e competitiva che viva della ricchezza e dell’unicità del suo capitale umano. Si parte da una scommessa prima di tutto scientifica, quella di far nascere una nuova scienza interdisciplinare che integri un sapere oggi diffuso e disperso tra aree diverse nell’approccio ai temi della salute e dell’invecchiamento. Dalla genomica alla nutrizione, dalla data science alle tecnologie per il cibo e la diagnostica. Una scommessa che prenderà casa a Milano, nei luoghi di Expo, per continuare a nutrire il pianeta con la conoscenza grazie a un investimento da 1,5 miliardi in 10 anni. Lo Human Technopole sarà un centro di attrazione permanente per i migliori cervelli da tutto il mondo che ospiterà più di 1.500 ricercatori nei suoi sette centri di ricerca. Costituirà dunque un segmento di punta per un intero sistema e una comunità scientifica, un tassello tangibile del più ampio processo di cambiamento in atto che proprio sulla ricerca punta con risorse e semplificazioni.
A questo va aggiunto un maggiore sforzo per aumentare la capacità di attrarre risorse comunitarie. Gli ultimi dati del programma Horizon 2020 ci consegnano un’Italia in crescita, ma restano molti margini di miglioramento anche nel settore salute, nel quale oggi conquistiamo il 7,3% del budget. Solo così riusciremo a creare un ecosistema globalmente favorevole alla ricerca, funzionale anche alla crescita del made in Italy in comparti produttivi già rilevanti per la nostra industria come la farmaceutica, le biotecnologie e il biomedicale.
C’è infine un salto culturale a cui la ricerca scientifica nel campo dell’health care è chiamata a contribuire: rinsaldare il legame con la società attraverso una maggiore attività di divulgazione e di informazione. Troppo spesso campagne di disinformazione irrazionali prendono piede nel nostro Paese, alimentando un clima di sfiducia verso i risultati e le conquiste del progresso scientifico. A ogni ricercatore tocca il compito di spiegare la scienza, di aprirla e renderla disponibile al grande pubblico non solo per scoraggiare la diffusione di falsi miti, ma soprattutto per trasmettere una coscienza scientifica profonda e capillare. Riconoscere la centralità della ricerca scientifica nel campo della salute passa infatti anche da una consapevolezza collettiva della funzione sociale del ricercatore, del suo lavoro e delle sue produzioni.
Stefania Giannini (Ministro dell’Istruzione, dell’Università e della ricerca)