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Cosa prevede l’accordo per la tregua in Siria tra Usa e Russia

assad

Dopo dieci mesi di stallo e trattative continuamente saltate, i ministri degli Esteri americano e russo hanno trovato un accordo di tregua per la Siria. Dall’incontro svoltosi a Ginevra tra John Kerry e Sergei Lavrov esce un meccanismo “complesso”, come lo ha definito James Landale, il corrispondente diplomatico della BBC (“I piani pensati a Ginevra non sempre diventano reali sul campo di battaglia” il suo commento eloquente). Tutto entrerà in vigore “al tramonto” di lunedì e avrà una settimana di prova con progressiva riduzione degli scontri.

L’obiettivo iniziale è permettere il passaggio dei convogli umanitari in diverse zone assediate, dove la crisi di risorse di base ha raggiunto livelli altissimi.

L’interesse per Washington sta nella possibilità di separare Jabhat Fateh al-Sham, l’ex qaedista al Nusra, dal resto dei ribelli, e infatti mentre per glì altri non-Isis è previsto un cessate il fuoco, il gruppo continuerà ad essere oggetto di raid (da poco sotto i colpi probabilmente di un drone americano è caduto un leader importante); la sovrapposizione, in molti casi frutto della pragmatica della guerra, è uno degli argomenti che Mosca contesta della strategia americana nel conflitto. Intanto sono stati individuati dei “boxes”, ossia le aree in cui c’è questa sovrapposizione. Anche l’interesse russo è stato garantito, e così Assad potrà continuare le sue operazioni, ma solo su alcune zone, ossia contro IS e ex-JN, ma le opposizioni non si fidano che mantenga fede agli obiettivi fissati. Compito della Russia sarà fare pressioni affinché il regime mantenga i patti.

Sintetizzato, spiega il Washington Post, è un modo per mettere in pausa i combattimenti ad Aleppo (dove mancano acqua e cibo) e permettere i soccorsi umanitari. Se reggerà ai primi sette giorni, la tregua potrà essere estesa, se si estenderà gli Stati Uniti si sono detti disposti a portare a termine per la prima volta operazioni co-ordinate con Mosca.

Tra una settimana dunque si riparlerà del centro di comando congiunto USA/Russia (punto già chiarito: il governo siriano ne resterà fuori), e questo è di per sé un segnale della generale sfiducia reale, al di là delle ottimistiche dichiarazioni di rito.

È tutto in divenire, i ribelli hanno già storto il naso e il New York Times scrive che anche il Pentagono è piuttosto “scettico”, segnando le divisioni interne all’Amministrazione sul modo di interpretare la situazione. I generali temono che condividere informazioni sui target possa portare Mosca ad apprendere le dinamiche di comando americane, esponendo dati sensibili che i russi potrebbero usare su altri fronti (le tensioni tra Russia e Washington restano generalmente alta su altri numerosi dossier).

In definitiva, molto dipenderà da due fattori: la capacità degli americani di tenere separati i gruppi combattenti che appoggiano dalle formazioni islamiste, e allo stesso tempo la determinazione con cui Mosca terrà Assad lontano dall’istinto di colpire indiscriminatamente tutte le opposizioni.


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