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Cosa rischia Raffaele Cantone dell’Anac con quelle sacrosante parole su Mafia Capitale

“Posso dire di aver trovato ipotesi di reati contro la pubblica amministrazione oppure reati economici, ma posso escludere di aver mai individuato, fino ad oggi in quelle carte, una sola qualificazione di 416 bis’’. E’ una risposta fornita da Raffaele Cantone, presidente dell’Autorità anticorruzione, durante la sua testimonianza nel processo di Mafia Capitale. Prima di fare un’affermazione tanto precisa ed impegnativa, Cantone aveva ribadito che l’Anac non esita a trasmettere gli atti all’autorità giudiziaria in tutti i casi in cui emerga un “fumus’’ di illegalità, fosse anche “un semplice abuso d’ufficio’’. Quelle di Cantone sono parole scolpite nel bronzo non solo per l’autorevolezza della persona e per la delicatezza del ruolo che svolge, ma anche per le circostanze che hanno trasformato il presidente dell’Anac in una sorta di “giustiziere di ultima istanza’’ chiamato a dire una parola risolutiva su tutto quanto capita in Italia. Questa volta, però, Cantone sta correndo un rischio serio, dal momento che, con la sua testimonianza, ha smentito il teorema di una importante Procura, che voleva conquistare un posto al sole nella lotta alla Mafia. E, si sa, le Procure sono solidali tra di loro.

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Venerdì sera ho cenato a Roma con dei vecchi e cari amici. In queste occasioni si comincia sempre ricordando “come eravamo’’ (e come non siamo più). Ben presto, però, si finisce per parlare di prostate.

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La Provvidenza è stata generosa e benevola con Carlo Azeglio Ciampi. Gli ha garantito una vita lunga, ricca di esperienze, di soddisfazioni e di riconoscimenti per i servizi resi al suo Paese. Credo, però, che Ciampi, quando si presenterà davanti al Padreterno (bella la vignetta di Emilio Giannelli sul Corriere della Sera), lo ringrazierà di averlo chiamato a sé, nei Campi Elisi dei Giusti, prima che fosse costretto ad assistere, impotente, al completo sfarinamento di quell’Unione europea che aveva contribuito a creare e in cui aveva creduto.

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“Una volpe affamata, come vide dei grappoli d’uva che pendevano da una vite, desiderò afferrarli ma non ne fu in grado. Allontanandosi però disse fra sé: «Sono acerbi». Così anche alcuni tra gli uomini, che per incapacità non riescono a superare le difficoltà, accusano le circostanze”. E’ questa la versione de ‘’L’uva e la volpe’’ attribuita ad Esopo. Più o meno analoga è la versione, in latino, di Fedro. In pratica, la favoletta ci consente di trovare una spiegazione, altrimenti impossibile, per la linea di condotta di Matteo Renzi, dopo il summit di Bratislava.

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‘’Noi fummo i Gattopardi, i Leoni; quelli che ci sostituiranno saranno gli sciacalli, le iene’’. Chissà se Giuseppe Tomasi di Lampedusa (e, per lui, il Principe di Salina) pensava che un giorno, sulla scena politica italiana, sarebbe arrivato un personaggio come Matteo Salvini?

 

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