La decisione della Corte costituzionale di rinviare la decisione sulle questioni di costituzionalità sollevate contro la legge elettorale n.52 del 2015, il c.d. Italicum, è ragionevole e da condividere. Per un concatenarsi di eventi, forse sfuggito di mano ai protagonisti e comunque non programmato, la Corte nella data precedentemente fissata per la sua decisione, il 4 ottobre, si sarebbe pronunciata due mesi prima del referendum sulla riforma costituzionale. Ogni sua decisione di merito avrebbe potuto essere letta in chiave dietrologica, cioè come favorevole all’una o all’altra parte in campo. Tanto più che è già aperto il dibattito tra le forze politiche sulla possibilità di modificare l’Italicum, se non addirittura di giungere ad un sistema del tutto differente.
Il fatto è che la logica avrebbe dovuto far seguire un percorso diverso nel mettere mano alle riforme. Prima si sarebbe dovuta approvare in via definitiva la revisione della Costituzione e poi porre mano alla legge elettorale. Non vi è dubbio infatti che l’architettura costituzionale condiziona i sistemi elettorali, anche quando non contiene regole prescrittive in materia. Ma la politica spesso ha esigenze diverse che possono imporsi e la legge elettorale porta la data del 6 maggio 2015. Non è che il problema non fosse presente. Infatti, l’applicabilità della legge elettorale era stata rinviata al 1 luglio 2016. Non si è fatto però in tempo a concludere l’iter della revisione. E’ così che la Corte il 4 ottobre si sarebbe trovata ad intervenire in una situazione di incertezza costituzionale. Resterà in vigore l’attuale Costituzione o da dicembre ne avremo una rimodellata? E di questa eventualità la Corte avrebbe dovuto tener conto, tanto più che la riforma prevede essa stessa la sottoposizione delle leggi elettorali al giudizio di legittimità costituzionale su ricorso delle minoranze parlamentari?
Si potrebbe dire che questa situazione sarebbe stata ininfluente sotto alcuni aspetti. Ad esempio, nulla sarebbe cambiato circa il problema della libertà dei cittadini di scegliere i propri rappresentanti in relazione alle questioni di costituzionalità sollevate riguardo ai “capilista bloccati” e alle loro pluricandidature con connessa, assoluta libertà di opzione. Su questo aspetto infatti la riforma costituzionale non influisce.
Al contrario, mi sembra che l’approvazione o meno della riforma possa avere riflessi nel giudizio di proporzionalità tra i mezzi posti in essere per perseguire l’”obiettivo di rilievo costituzionale, qual è quello della stabilità del Governo” (il premio elettorale) e la “compressione della funzione rappresentativa dell’assemblea”, cioè la distorsione nell’assegnazione proporzionale dei seggi che dall’assegnazione del premio deriva (sent. 1/2014, 3.1). E’ il parametro sulla base del quale fu dichiarato incostituzionale il cuore del sistema elettorale definito Porcellum. A me pare che una cosa sia la ragionevolezza del premio se si è di fronte ad una legge elettorale per un’assemblea depositaria unica del rapporto fiduciario (la situazione che si determinerebbe con l’approvazione della riforma nel referendum); altra cosa, se di tale rapporto sono titolari due camere, la seconda delle quali eletta con metodo proporzionale (la situazione attuale che sarebbe confermata se al referendum si affermassero i no, con la conseguenza che anche il Senato dovrebbe votare la fiducia e sarebbe eletto, salvo nuovi interventi legislativi, con il sistema proporzionale risultante dalla sent. 1/2014, c.d. Consultellum).
In altre parole, nel giudicare la costituzionalità di un sistema elettorale con premio di maggioranza, lo scrutinio della Corte non dovrebbe essere ristretto all’equilibrio tra governabilità e rappresentatività del sistema elettorale assunto separatamente, ma allargato anche alle conseguenze sul complessivo sistema istituzionale. L’Italicum è un sistema elettorale che può funzionare se vi è una sola camera titolare della fiducia. In un bicameralismo paritario no. Immaginate due ballottaggi con la partecipazione di liste diverse per l’una e l’altra assemblea. E a quale ragionevole esigenza di governabilità risponderebbe il premio assegnato a due liste diverse nelle due camere?
Se vi è una sola camera che accorda o revoca la fiducia, posto che la soglia del 40 per cento appare come sufficientemente ragionevole per l’assegnazione del premio, il problema è quello di valutare se il premio è giustificato in un turno di ballottaggio nel quale l’affluenza degli elettori potrebbe essere ridotta e se è costituzionalmente ragionevole attribuire la maggioranza dei seggi a una forza politica scarsamente rappresentativa sulla base dei risultati del primo turno. In questa ipotesi, i criteri enunciati dalla Corte nella sent. 1/2014 (e di cui si è detto prima) le lasciano ampi spazi di intervento sia in senso positivo che negativo. E forse è inutile avventurarsi in previsioni.
Ma i problemi si complicano se l’Italicum deve coesistere, in un bicameralismo paritario, con un sistema elettorale proporzionale come quello risultante dalla sent.1/2014 per il Senato. Che senso avrebbe il premio dopo il ballottaggio (cioè tra liste che per definizione non hanno raggiunto il 40 per cento dei voti) se il Senato è eletto proporzionalmente. Il premio non soddisferebbe alcuna esigenza di governabilità. Potrebbe forse giustificarsi il premio alla lista che ha raggiunto il 40 per cento dei voti alla Camera nella presunzione che disponendo di un tale consenso sia in grado di raggiungere la maggioranza dei seggi anche al Senato con il Consultellum. Appare difficile però giustificare il premio (e pensare che si realizzi quest’ultima ipotesi accennata) se si è costretti ad andare al ballottaggio perché quasi sicuramente la lista vincitrice non avrebbe anche la maggioranza al Senato. A meno di non pensare alla possibilità di consentire di costituire delle coalizioni fra primo turno e ballottaggio al fine di ottenere un vincitore nel ballottaggio con una più ampia base elettorale che potrebbe essere maggioranza anche al Senato.
In definitiva, lo scrutinio di legittimità costituzionale dell’ipotesi di ballottaggio contenuta nell’Italicum dovrebbe essere molto più stretto in riferimento all’attuale situazione di bicameralismo paritario, se questa fosse destinata a permanere, perché risulta attenuata la tutela dell’ esigenza di stabilità governativa che, secondo la stessa Corte, deve bilanciare la compressione della rappresentanza.
Ma, come si è detto all’inizio, solo all’inizio di dicembre sapremo quale sarà il modello di bicameralismo della nostra Costituzione. D’altra parte, se la riforma costituzionale non dovesse essere approvata, non credo che l’Italicum possa resistere. Molto probabilmente verrebbe anch’esso travolto dall’esito contrario del referendum.