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L’Europa, l’utero in affitto, l’individualismo e l’etica comunitaria

L’Europa sta vivendo uno dei momenti massimi di crisi politica da quando esiste. Non si tratta certo di una grande notizia. L’erosione di molti dei trattati comuni, che fino a qualche anno fa erano indiscussi, non da ultimo l’accordo di Schengen, ormai è una realtà che si unisce, insieme alla Brexit, a tanti segni di distacco da parte di molti Stati membri e da un tasso d’impopolarità giunto a livelli massimi.

Non meno critica, sebbene in minor grado appariscente, è l’enorme decadenza che sta attraversando la cultura europea, vale a dire il livello di verità di alcuni valori condivisi e ritenuti coincidenti con una mentalità comune.

La famosa questione se tutti i cittadini europei ragionino allo stesso modo sulle medesime questioni etiche fondamentali rimane in sordina, perché si dà per scontato il contrario, nonostante poi riemerga inesorabilmente l’incubo nascosto, nel preciso momento in cui gli organi legislativi devono deliberare in materie scottanti. La difficoltà di trovarsi d’accordo sui valori supremi è il vero punto debole che incrina la solidità dell’edificio comunitario.

Pochi giorni fa, ad esempio, il Consiglio di Europa si è espresso contro l’utero in affitto, confermando quanto ha approvato il Rapporto annuale 2014 sui diritti umani e la democrazia nel mondo, preparato dal popolare rumeno Christian Dan Preda alla fine dell’anno scorso. Comunque, c’è da aspettarsi che, al di là delle sentenze apparentemente pacifiche, di carattere astratto e generale, i diversi gruppi politici si troveranno di nuovo divisi su tutte le materie rilevanti dal punto di vista antropologico: identità di genere, diritti civili, valore della vita, eccetera.

Il paragrafo concernente la “condanna della pratica della maternità surrogata’’, già approvato, costituisce, in ogni caso, un valido punto di partenza, affinché la legislazione europea possa giungere definitivamente a condannare ogni uso strumentale del corpo della donna, sottolineando i rischi che tale licenza comporta nei Paesi poveri a causa dello sfruttamento economico che si perpetra sul soggetto femminile. Scelte diverse sono state prese viceversa sulla concessione di diritti alle unioni civili e alla favorevole richiesta di assicurare un ‘’facile accesso all’aborto sicuro’’.

Su tali argomenti, sebbene vi sia ormai una certa assuefazione e adattamento di tutti i partiti e anche dell’opinione pubblica a un’impostazione permissiva, le posizioni di Conservatori e Popolari e quelle di Liberali e Socialisti divergono profondamente.

Spesso si trascura, dietro le normali diatribe ideologiche, che la dissociazione scottante sui grandi principi etici costituisce uno dei fattori più gravi di debolezza delle istituzioni europee, anche perché si evidenzia l’impossibilità non soltanto a livello nazionale, ma ancor più in ambito di Unione, di rintracciare una base etica di riferimento che riguardi almeno la natura umana e i diritti fondamentali della persona, requisiti che, proprio perché universali, non dovrebbero essere messi in discussione e generare divisioni tanto radicali.

Il risultato finale, anche in occasione di questo Documento, è l’apparente schizofrenia culturale del legislatore che nasconde, in realtà, un latente e corrosivo presupposto filosofico individualista divenuto ormai l’unica vera morale dominante, nonché la sostanziale ragione ultima della gracilità stessa dell’unione politica.

Da un lato, ad esempio, il Parlamento di Strasburgo stabilisce giustamente che è inaccettabile lo sfruttamento femminile, accogliendo dunque la distinzione di genere come valore, e, dall’altro, disconosce poco dopo il diritto personale dell’embrione a non essere soppresso nella sua vita reale dalla libertà della madre. Per un verso si parla della natalità e della famiglia, e per un altro si derubrica l’istanza naturale del matrimonio equiparandola ai diritti civili ‘’volontari’’ delle coppie di fatto.

Diciamolo apertamente: così non si va da nessuna parte.

Visto da chi non è europeo, si rivela un quadro complessivo di frammentazione metafisica tra visioni del mondo incompatibili, tra loro tenute insieme, in modo pragmatico e cinico, solo per utilità. Purtroppo, non soltanto in questo caso specifico, siamo quasi sempre davanti a leggi che riconoscono come presupposto unico l’assoluta relatività delle opinioni, e il connesso parametro quantitativo delle maggioranze, cui si affida il compito improbo di definire l’essenza dell’uomo, la distinzione naturale dei sessi e la tutela del corpo della donna, salvo voler reinserire di nuovo alla bisogna, magari per qualche rimorso di coscienza, alcuni frammenti etici assoluti che appaiono, ovviamente, incongruenti e surrettizi rispetto all’insieme.

Un pasticcio indecoroso.

La mia non vuole essere un’invettiva, ma la certificazione del fatto che a dominare l’Europa è un paradigma culturale e filosofico individualista, il quale tuttavia non riesce ad affrontare tematiche, ad esempio, come quelle contro lo sfruttamento della povertà e a favore dell’uguaglianza, la cui soluzione contraddice una logica libertaria di partenza accolta dogmaticamente. D’altronde, come spiegava l’epistemologo Thomas Kuhn, quando sei all’interno di un modello standard di riferimento non vedi alternative neanche se le anomalie si traducono in controsensi tanto lampanti quanto distruttivi. Perciò, alla fine, si opta per la contraddizione in atto: diritti umani sì ma anche no, sovranità degli Stati sì ma anche no, differenza di genere sì ma anche no. Queste sono solo alcune delle incoerenze che sbucano fuori dall’attuale impianto debole e senza precisi riferimenti oggettivi delle leggi europee.

Bisogna considerare che l’individualismo non costituisce la storica matrice etica dell’Europa, la cui filosofia, per contro, ha sempre avuto la pretesa, alla stregua del pensiero classico greco-latino-cristiano, di fissare alcuni principi universali, valevoli per ogni essere umano sopra tutto il resto. Perché è da tali criteri etici generali che si è concretata lentamente la resistenza contro i poteri assoluti, per l’appunto individualisti, la battaglia per la libertà e la democrazia (la quale, a ben vedere, corrisponde all’attestazione universale della persona umana come soggetto intelligente, volontario e comunitario), fino ad arrivare alla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, che, per valere, deve necessariamente sottrarre l’etica umana al relativismo del potere e delle maggioranze politiche.

L’Europa, insomma, abbandonata, per ragioni pratiche, l’idea di una costituzione comune, adesso vive ormai la sindrome della totale negoziazione etica di tutto, perfino dei valori che per una certa cultura devono restare assoluti, come sono i suddetti temi antropologici fondamentali, traducendo in debolezza sostanziale perfino il valore stesso dell’autonomia individuale dei cittadini che sta alla base della stessa civiltà che lo esprime.

E’ inutile ricordare quanto tale prassi individualista ci renda deboli attualmente dal punto di vista mondiale. Un’Europa, infatti, senza identità etica non può esistere, e non resisterà ai colpi della globalizzazione. E’ ineluttabile, a ben vedere, che senza la sua cultura specifica un Continente come il nostro, che è stato culla della civilizzazione universale, finirà inevitabilmente per soffocare sotto i colpi del rinascente nazionalismo, del fondamentalismo e della violenza arbitraria degli uni e degli altri, aggravata dall’immigrazione.

Potrebbe essere utile, insomma, mettere ogni tanto in discussione l’individualismo imperante e rispolverare le ragioni solidali della nostra vocazione comunitaria, retta da valori umani e cristiani solidi e indiscutibili. Altrimenti non vivremo, ma moriremo del relativismo che abbiamo prodotto.

L’umanesimo occidentale è l’unico vero fondamento etico dell’Europa, ed esso ci distingue storicamente dalle altre culture proprio per la presenza vissuta di una valorizzazione sacra e integrale della persona, il cui tratto politico indelebile consta nel saper salvaguardare la dignità naturale dell’essere umano da ogni attacco pacifico o violento del potere, e nel considerare come doveri assoluti per ogni libertà individuale quei diritti originari della persona che definiscono la sostanza etica specifica di ogni uomo e di ogni donna.

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