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Ecco come si dividono i Grandi elettori fra Hillary Clinton e Donald Trump

Saranno anche i due peggiori candidati alla presidenza degli ultimi quarant’anni, come risulta dall’aleatorio sondaggio di Huffington Post e YouGov, ma pure per loro valgono le scadenze d’ogni campagna per la Casa Bianca. E così, a due mesi dall’Election Day, l’8 novembre, si smette di contare i voti della gente, che negli Usa non bastano a fare un presidente, e s’inizia a contare quelli dei Grandi Elettori, che pesano davvero: Donald Trump è avanti, nel voto popolare, ma Hillary Clinton andrà alla Casa Bianca perché ha dalla sua più Grandi Elettori.

Non è proprio la stessa cosa, ma è un po’ come durante le primarie, nel testa a testa col suo rivale Bernie Sanders: a favore dell’ex first lady giocarono i Super-Delegati, cioè i notabili del partito, con diritto di voto alla convention.

I Grandi Elettori sono quelli ottenuti da un singolo candidato vincendo in uno Stato: chi è davanti anche di un solo voto popolare li prende tutti. Sono 538 e, per fare bingo, bisogna averne 270. Contano solo quelli: se hai preso più voti popolari non serve. Come accadde ad Al Gore: nel 2000, fu sconfitto da George W. Bush per 257 voti in Florida, pur avendone ottenuti mezzo milione in più a livello nazionale.

SONDAGGI NAZIONALI E STATO PER STATO

Nel rilevamento di Huffington Post e YouGov, il 45 per cento degli intervistati giudica Trump il peggiore candidato repubblicano degli ultimi 40 anni e il 10 per cento lo ritiene il migliore. Hillary è, invece, la peggiore candidata democratica per il 31 per cento e la migliore solo per il 3 per cento. L’aleatorietà dei dati deriva dal fatto che, in genere, gli americani non ricordano chi sono stati i loro presidenti, figuriamoci i candidati sconfitti.

Più tradizionali, e più attendibili, altri due sondaggi. Uno, della Cnn, indica che il magnate, sempre in lite con il partito e la verità, è in ripresa rispetto ad agosto ed è ora avanti di due punti, 45 a 43 per cento, nelle intenzioni di voto degli elettori su scala nazionale. Il libertario Gary Johnson è al 7 per cento; la verde Jill Stein solo al 2 per cento, malgrado lo slogan ammiccante “Jill, not Hill”: lei sottrae voti all’ex first lady, Johnson è più repubblicano di Trump e prende un po’ di conservatori moderati.

L’altro, del Washington Post, fatto Stato per Stato, mostra che la democratica è in testa di almeno quattro punti – oltre il margine d’errore del rilevamento – in 20 Stati e nel Distretto di Columbia, che assieme danno 244 Grandi Elettori, solo 26 meno dei 270 necessari per andare alla Casa Bianca. Anche Trump ha un vantaggio di almeno quattro punti in 20 Stati, ma i suoi sono meno popolosi e danno appena 126 Grandi Elettori. Negli altri 10 Stati (168 voti elettorali) la differenza fra i due è inferiore ai quattro punti e, dunque, il giornale non li assegna.

LA MAMMA DEGLI STATI E LA GEOGRAFIA ELETTORALE

Non è un calcolo peregrino: 270towin, sito che aggiorna regolarmente la stima dei Grandi Elettori, ne assegna 239 alla Clinton e 153 a Trump, lasciando in sospeso Stati in bilico tradizionali e spesso decisivi – Florida, Ohio, Iowa, Wisconsin, Nevada – , ma anche Stati di solito schierati come Pennsylvania, North Carolina, Georgia, Missouri, Arizona, oltre che il New Hampshire.

Le cartine del Washington Post e di 270towin non si sovrappongono, ma si assomigliano molto. Entrambe dicono che alla Clinton basta farcela in uno o due degli Stati in bilico maggiori, mentre Trump deve quasi fare l’ “en plein”. Difficile, specie perché il Washington Post lo veda in panne là dov’era più forte: i maschi bianchi, soprattutto i laureati, gli voltano le spalle, persino in Texas, bastione conservatore, dove la corsa è statisticamente pari (46 per cento lei, 45 per cento lui) e dove solo due donne su cinque puntano sul magnate.

Nel 2012, il repubblicano Mitt Romney ebbe il 56 per cento dei voti dei bianchi laureati (59 per cento degli uomini e 52 per cento delle donne), mentre ora la Clinton in quella “constituency” è in testa. Trump è nettamente avanti fra i bianchi meno istruiti, il che gli dà possibilità di vittoria in alcuni Stati tradizionalmente democratici e negli Stati del Midwest, dove l’elettorato è più bianco e più anziano. Guida la corsa, seppur di poco, in Ohio e nello Iowa, Stati in bilico per eccellenza, e tiene botta in Wisconsin, Michigan e Pennsylvania, dove i democratici si sono imposti nelle ultime sei elezioni consecutive. Per contro, il magnate fatica in Stati come Arizona e Georgia e – lo abbiamo già visto –addirittura in Texas, dove i repubblicani hanno regolarmente vinto e che lui deve assolutamente conquistare, se vuole avere una speranza di Casa Bianca.

(post tratto dal blog di Giampiero Gramaglia)

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