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Il successore di Berlusconi è Berlusconi

Dopo aver celebrato il suo ottantesimo compleanno (auguri), Silvio Berlusconi sembra sempre più deciso a succedere a se stesso. Forse si è convinto che nemmeno Stefano Parisi ha il famigerato quid, chissà. Beninteso, le sue forze non son più quelle di un tempo, e quindi si ritaglierà piuttosto il ruolo di padre nobile del centrodestra e di kingmaker di Forza Italia. Resta il fatto che un nuovo leader non si inventa a tavolino, e che il leader carismatico – quale è certamente stato il Cavaliere – non ha eredi. Nella migliore delle ipotesi, può avere solo qualche buon esecutore testamentario. La figura di Berlusconi, insomma, non cessa di interrogarci su una vexata quaestio: qual è l’essenza della leadership politica?

La riflessione scientifica sulla leadership matura tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del secolo scorso, con i contributi di Gaetano Mosca e di Vilfredo Pareto sulle élites, di Roberto Michels sui partiti e sui sindacati operai e poi sul fascismo. Ma è stato soprattutto Max Weber a lasciare l’impronta più profonda con l’elaborazione del concetto di carisma. La psicologia ha a sua volta offerto contributi fecondi, con lo studio del rapporto tra leader e folla da parte di Gustave Le Bon e di Sigmund Freud. Mentre il confronto tra totalitarismo e democrazia ha ispirato, negli anni Trenta e Quaranta, le ricerche di Theodor W. Adorno e Mark Horkeimer sulla famosa e contestata “personalità autoritaria”.

In realtà, la questione delle qualità che caratterizzano il leader politico era presente già nell’antichità greca e romana (la “Storia” di Tito Livio, le “Vite” di Plutarco). Ma ancora oggi resta assai controversa. Statisti democratici come Charles De Gaulle e dittatori come Benito Mussolini, magari rifacendosi al pensiero di Henri Bergson, hanno voluto accentuare una qualità senza dubbio necessaria e preziosa: l’intuizione. In effetti, l’esperienza storica offre numerosi esempi di leader capaci di cogliere d’acchito il nocciolo di un problema, di prevedere le mosse degli avversari, di scegliere le vie e i tempi giusti dell’azione nel labirinto delle possibilità. D’altro canto, è anche vero che la fiducia nella propria intuizione e nella propria fortuna ha tradito più di un leader quando non era assistita, come aveva notato lo stesso De Gaulle, da una uguale capacità di verifica razionale del rapporto tra mezzi e fini.

La leadership che si impone e lascia un segno sembra avere le sue radici più nella “convinzione”: la quale – come sottolineava John Stuart Mill – fa prevalere l’uomo che la possiede su quanti coltivano solo interessi corporativi. Si può anche dire, con Weber, che essa ispira la “volontà di potenza” propria di ogni leader politico, alimentandone la fiducia in se stesso. È questa convinzione che costituisce, come direbbe sempre De Gaulle, quell’homme de caractère che è, in ultima analisi, il vero leader. E la riflessione sul carisma, da Weber in poi, ha suggerito che l’attribuzione al leader di qualità straordinarie da parte dei suoi sostenitori sia dettata proprio dalla forza contagiosa di questa convinzione. Naturalmente, nella predisposizione ad abbandonarsi ciecamente tra le braccia di chi impersona la speranza, c’è un rischio: quello di un culto della personalità che ha assunto nel nostro secolo – e anche da noi – forme a volte non distanti dagli antichi modelli della divinizzazione.

Nel secolare dibattito sulla leadership non sono mancate impostazioni poco precise e partigiane, in particolare del rapporto tra leader e società. Osservando questo aspetto del problema, Machiavelli scrive nel “Principe” che per conoscere la “virtù” di Mosè, la “grandezza d’animo” di Ciro e la “eccellenzia” di Teseo erano necessarie le condizioni -rispettivamente- di schiavitù, oppressione e dispersione dei loro popoli; e che quelle tre condizioni si trovavano unitamente presenti nella nostra penisola, ma esasperate, forse proprio per mettere alla prova “la virtù di uno spirito italico”.

Quale che sia il giudizio sulle qualità della leadership, l’evidenza empirica ci dice che essa ha giocato un ruolo cruciale soprattutto nelle situazioni straordinarie, ossia di fondazione o trasformazione di uno Stato. Si è appena detto di Machiavelli. Ma nella filosofia della storia di Hegel l’individuo “cosmico-storico” è pur sempre il protagonista delle grandi crisi di transizione,colui che squarcia l’involucro soffocante del vecchio ordine per farne nascere uno nuovo. Solo che per il grande fiorentino il leader solca un mare dalle rotte sempre ignote, mentre per il filosofo tedesco il porto in cui approderà è comunque prestabilito. Considerando la ormai lunga crisi del nostro sistema politico-istituzionale, si può allora comprendere perché la navigazione di quello che oggi resta il leader politico italiano più popolare, Matteo Renzi, risulti tuttora piuttosto tempestosa.

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